La notizia della scomparsa del Compagno Vincenzo Taranto mi ha riempito di tristezza e ha lasciato un grande vuoto per tutti noi. Era da qualche anno che non ci vedevamo, all’inizio quando tornavo andavo sempre a trovarlo, al di là anche delle scelte politiche diverse, ma la distanza e il tempo affievoliscono naturalmente i rapporti personali. Ormai, è da parecchio che non vivo a Caulonia e sempre più raramente vengo in ferie, ma spesso mi è tornato alla mente quello straordinario periodo che abbiamo condiviso insieme. Era la fine degli anni Novanta ed io e altri, un gruppo di ragazzini che volevano cambiare il mondo, abbiamo cominciato ad interessarci al “bene pubblico”. In modo molto spontaneo volevamo cambiare, in meglio, il nostro disastrato paese e non arrenderci alla rassegnazione che ci circondava, e l’incontro con Vincenzo è stato quasi naturale. Anche Vincenzo, infatti, aveva la vivacità e la curiosità di un ragazzo che voleva cambiare il mondo. Spesso lo andavamo a trovare a casa, trascorrendo lunghi pomeriggi e facendo bellissime discussioni. Si parlava di tutto, dalle soluzioni ai problemi più semplici e contingenti di Caulonia, alle ingiustizie globali, dal Principe di Machiavelli, all’Unione Sovietica, dal Comunismo realizzato a quello ancora da costruire. Personalmente, non avrei avuto lo stesso approccio alla politica se non avessi vissuto quei momenti. Mi ricordo soprattutto l’importanza che aveva per lui lo studio: era fondamentale studiare la realtà e le conseguenze sulla vita delle persone, i meccanismi della politica e del potere e come fare in modo che questi siano messi a disposizione della “futura umanità”. Lottare per cambiare il mondo (per alcuni semplicemente “fare politica”) per Vincenzo non era una mera espressione di volontà spontaneista, in cui ci si poteva improvvisare, ma un compito, per noi proletari, individuale e collettivo frutto di sacrificio e dedizione, di studio ed abnegazione che trascendeva i singoli destini. Vincenzo, infatti, era un Comunista, un eccezionale Compagno cresciuto in mezzo alle grandi Rivoluzioni del Novecento, secolo straordinario che qualcuno ha definito “dei contadini e degli operai”. Perciò, poteva parlarti tranquillamente di come si faceva l’orto e degli alberi da frutto del suo giardino o della critica della ragion pura di Kant, di Marx o di Hegel e degli argomenti più diversi, sempre con lo stesso acume. Per rendere l’idea mi ricordo un episodio avvenuto in quel periodo. Un pomeriggio eravamo andati a trovarlo e con una certa sorpresa l’avevamo trovato ad armeggiare con delle audiocassette: stava studiando l’inglese. Infatti ci spiegò che ormai molte notizie e approfondimenti erano in lingua inglese pertanto lui, a Settant’anni, stava cominciando ad impararlo. Da vero intellettuale Comunista, aveva una cultura immensa e quasi tutta costruita da autodidatta, con la sola forza di volontà e con la propria determinazione.
Mi hai fatto vedere la chiarezza del mondo e la possibilità della gioia
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