Abbiamo pubblicato questo editoriale il 27 ottobre del 2016, esattamente un anno fa. Le nostre facili previsioni sono diventate realtà. Vista l’attualità che questo pezzo conserva lo riproponiamo:
Proprio oggi sono stato intervistato da una troupe cinematografica proveniente da Barcellona, ma non una troupe qualsiasi, non i soliti giornalisti.
Stavolta si trattava di militanti, di compagne che insieme ad una sindaca che nessuno pensava potesse diventare tale, Ada Colau prima cittadina di Barcellona, hanno fatto capire al mondo intero che è finito il tempo degli accordi dei dinosauri partitici che si spartiscono il potere. Viviamo un’epoca di stravolgimenti. La sfiducia verso la politica si incanala in tre modi diversi in tutto l’occidente: verso l’astensionismo e il rigetto della politica, verso il populismo xenofobo di destra oppure verso l’alternativa di società proposta dalla sinistra radicale.
E’ così dovunque e l’Italia, nonostante oggi sembri impossibile, non farà eccezione.
Parlando di Spagna, il centro sinistra e il centro destra tradizionali (socialisti e popolari) hanno fatto un’alleanza per permettere al leader di uno dei partiti più corrotto d’Europa, il Pp, di governare. I socialisti hanno preferito mandare al governo le destre piuttosto che allearsi con la sinistra di Unidos Podemos. Il perchè è semplice: preferiscono la consueta rassicurante corruzione alla rivoluzione che li spazzerà via. Ma è solo questione di tempo, in Spagna come altrove. Lo ha detto anche il leader di Podemos, il compagno Pablo Iglesias Turrion, in parlamento: “Stiamo arrivando”.
Pablo è figlio della nostra generazione, viene dalle proteste di Seattle, Praga e Genova, è la generazione definita erroneamente “no global” che ha praticato la disobbedienza civile e che ha globalizzato le lotte comprendendo che alla potenza del capitale globale si può rispondere solo con una Resistenza globale, che partendo dal locale abbracci il mondo intero.
Per questo quanto accade a Barcellona, in Catalogna e in Spagna ha a che fare anche con quanto accade e accadrà a Caulonia, in Calabria, in Italia.
La Spagna ci è arrivata prima, noi ci arriveremo come al solito in ritardo, ma ci arriveremo.
Sta finendo il tempo degli accordi spartitori.
Rifletto in questo giorni su come si possa rompere il giogo tutto meridionale del clientelismo elettorale, su come risvegliare passioni civili che riguardano la sfera dell interesse collettivo, su come superare il familismo amorale che egemonizza la cultura di questi luoghi.
Esiste un’alternativa alla mediocrità al ribasso dei nostri amministratori e governanti? È sicuramente possibile costruirla ma poi come condurla alla vittoria in questo contesto? Come vincere senza essere come gli altri? Come stravolgere il gioco del potere?
Interrogativi per i quali non esiste una risposta facile. La risposta va ricercata nell’impegno quotidiano e faticoso della costruzione di una cultura diversa che trasformi gli abitanti in cittadini e che spezzi la sudditanza che li tiene in catene. Le catene del favore, del voto al medico, delle piccole patrie per cui quelli di Ursini votano solo per i candidati di Ursini e quelli di Focà solo per i candidati di Focà come se non fossimo un unico paese ma un insieme di interessi contrapposti. Così come non siamo una collettività ma un insieme di interessi familiari contrapposti.
Per stavolta sono salvi, il copione delle prossime elezioni comunali non riserverà sorprese. Cambieranno gli attori e i loghi e tutto cambierà perché niente cambi. Ci divideremo come al solito, la politica verrà sotterrata dagli attacchi personali che sempre dominano in comunità povere di idee, vivremo giorni di comizi (sempre meno) e di manifesti elettorali e pubblicità (sempre più) e il giorno dopo il voto ci sveglieremo con un nuovo sindaco e un paese vecchio e fossilizzato nelle solite, rodate dinamiche di vassallaggio e cortesie personali che si rivelano sempre come affronti alla collettività. A breve cominceranno gli inviti a bere un caffè e i santini cambieranno di mano, i sorrisi diventeranno più untuosi e le strette di mano più frequenti accompagnate da richieste di voto.
Io voterò, come ho sempre fatto, per chi non mi chiederà il voto. Dovremmo farlo tutti, non permettiamogli di offendere la nostra intelligenza suggerendoci chi votare, ma chiediamogli per quale ragione dovremmo votarli. Quando lo faremo saremo diventati una comunità più matura e responsabile. Fino a quel momento i mediocri amministreranno, degni rappresentanti della nostra mediocrità.
Ma non è detto che debba andare sempre così, non è scritto che vincano sempre loro. Dipende da noi, da tutti quanti noi, dalle nostre scelte e non parlo soltanto del nostro voto. La democrazia non si realizza ogni cinque anni con un voto che sa troppo di delega ma si esercita sempre, chiedendo conto agli eletti, protestando, segnalando, organizzandosi, mobilitandosi, studiando, facendo crescere culturalmente una comunità. Rivoltandosi quando serve.
La rivolta è Podemos in Spagna ma è anche il Movimento Cinque Stelle in Italia, piaccia o meno. Come sosteneva il sempre lucido Fausto Bertinotti in una intervista di alcuni giorni fa: “La rivolta è tutto ciò che sta fuori dal recinto dell’ordinamento costituito ed è in formazione. Penso che questo sistema dall’interno sia irriformabile: come vede, cambiano i protagonisti ma la situazione è sempre uguale”.
Già, anche a Calulonia cambieranno gli attori ma tutto rischia di rimanere come prima.
Fino a quando lo permetteremo.
Fino a quando non alzeremo la testa e diremo: “Noi stiamo arrivando”.