Lo squalo dello Stretto di Messina: ecco perchè tra Scilla & Cariddi c’è un habitat ideale

Lo squalo dello Stretto di Messina: ecco perchè tra Scilla & Cariddi c’è un habitat ideale

Fonte: MeteoWeb

Come ogni estate, con l’intensificarsi delle attività da diporto, lungo l’area dello Stretto di Messina si moltiplicano gli avvistamenti o le semplici segnalazioni di esemplari di squali aggirarsi per il braccio di mare che separa il continente dalla Sicilia. E come al solito c’è chi mette in dubbio la veridicità degli avvistamenti, asserendo che “gli squali non esistono nel Mediterraneo” o a maggior ragione “nello Stretto di Messina“. In realtà, fin dalla notte dei tempi, le profondità dello Stretto di Messina sono abitate da innumerevoli specie acquatiche di rara bellezza che si radunano in queste acque cosi ricche di sostanze nutritive. Fra queste non mancano anche vari esemplari di squali, che possiamo considerare come delle specie autoctone dello Stretto, il quale rappresenta l’habitat ideale per la ricerca di cibo, anche per specie abituate a vivere a grandi profondità.

Fra queste troviamo la Verdesca o lo squalo Capopiatto, meglio noto con il nome scientifico di Hexanchus griseus Bonnaterre. In dialetto conosciuto anche con il termine di “pisci vacca”, come viene più volte identificato dai pescatori che quotidianamente vivono lo Stretto di Messina, data la sua notevole mole. Quella del Capopiatto è la specie più grande della famiglia dei Hexanchidae. La caratteristica principale degli squali Capopiatti è quella di avere un’unica pinna dorsale.

Inoltre le loro dimensioni possono variare fra i 140 ed i 480 cm. Ma alcuni esemplari possono superare anche i 5 metri di lunghezza, molti dei quali osservati anche nell’area dello Stretto. Perciò non c’è da stupirsi se ogni tanto le feluche che solcano le acque dello Stretto di Messina si possano imbattere in esemplari di una taglia piuttosto consistente. Questi tipi di squali sono abituati a vivere a grandi profondità, è sovente, durante le ore notturne, come capita spesso nello Stretto di Messina, possono risalire fino in superficie per predare altri pesci o alle volte pure pesci Spada e Calamari.

Nelle acque dello Stretto di Messina, molto pescose e ricche di vita per via delle forti correnti di marea che producono un ricambio d‘acqua davvero unico al mondo, il Capopiatto è una specie molto comune, solitamente innocua per l’uomo. Inoltre, l’habitat abissale fornito dallo stretto, con i fondali che sprofondano fin sotto i 500 metri nella zona meridionale del Canale, è l’ideale per questa specie di animali che sovente sono abituati a vivere a grandi profondità.

Lo squalo Capopiatto è una specie abbastanza nota in gran parte del mar Mediterraneo e solitamente innocua per l’uomo. Ma lo Stretto di Messina rimane l’unico luogo del Mediterraneo dove è più agevole osservalo, anche nei tratti sotto la costa, a profondità relativamente basse per questa specie. Sono innumerevoli gli incontri e le osservazioni effettuate dai tanti sub esperti (lo Stretto vanta anche le migliori squadre a livello nazionale) e appassionati di pesca subacquea fra la sponda siciliana e quella calabrese.

Come tutte le altre specie di squali il Capopiatto preferirebbe cacciare sullo Stretto, durante l’ingresso della corrente “Montante” che spinge enormi masse d’acqua dagli abissi dello Ionio fino all’imboccatura nord dello Stretto. Per la sua particolare batigrafia il fondo dello Stretto può essere paragonato ad un monte asimmetrico, con gli opposti versanti che presentano delle pendenze decisamente differenti. La cresta di questa sorta di imponente rilievo sottomarino è rappresentata da quella che i locali chiamano “sella”, ossia il punto meno profondo che si trova fra l’abitato di Ganzirri, lungo la riva siciliana, e Punta Pezzo, sull’opposta sponda calabrese.

Proprio dalla “sella”, localizzata lungo l’imboccatura nord del braccio di mare, dove il fondale tocca i 64 metri, i due versanti iniziano a degradare rispettivamente verso il basso Tirreno e il mar Ionio. Quello che immerge verso il Tirreno (a nord) degrada molto più dolcemente, fino a raggiungere i 1000 metri di profondità a largo del golfo di Milazzo, mentre per trovare la batimetrica dei 2.000 metri bisogna oltrepassare l’isola di Stromboli. Il versante meridionale, invece, degrada molto bruscamente in direzione del mar Ionio, con un pendio ripidissimo, tanto che ad appena 4-5 chilometri dalla “sella” il fondale sprofonda sotto i 400-500 metri.

Nel tratto compreso fra le città di Messina e Reggio, nella parte centrale dello Stretto, si scende sotto i 500 metri, fino a 1.200 metri poco a sud di Punta Pellaro. Valori sotto i 2000 metri si presentano a largo di Capo Taormina, dove il fondo sprofonda rapidamente sugli abissi dello Ionio, con una scarpata ripidissima a pochi chilometri dalla linea di costa. Questo profilo batimetrico, talmente aspro, favorisce l’insorgenza di frequenti e violente correnti marine di marea, fra le più forti osservate sul nostro pianeta, che tendono a risalire con particolare energia tale scalino, spingendo in superficie le acque molto fredde, pesanti e profonde provenienti dagli abissi dello Ionio.

Difatti, all’interno dello Stretto, esiste un perenne dislivello, di circa 27-28 cm, tra le acque dello Ionio e quelle del Tirreno, che diminuisce man mano che ci si avvicina al punto di contatto dei due bacini, ove naturalmente si annulla. Quando le acque del mar Tirreno, a nord di Capo Peloro, sono in fase di alta marea, quelle ioniche, a sud di Capo Ali, sono in fase di bassa marea. Lungo lo Stretto, cosi, si viene ad attivare un intenso “gradiente di marea” che tende ad essere colmato gradualmente, in media ogni 6 ore, con l’innesco di impetuose correnti di marea che possono raggiungere velocità davvero ragguardevoli in determinate occasioni.

Quando l’alta marea è in atto sul basso Tirreno le acque tirreniche si riversano in direzione dello Ionio colmando tale dislivello. La corrente che si origina, in direzione nord-sud (da Messina a Catania), prenderà il nome di “Scendente”. Il flusso della “Scendente” ribalta la situazione, innalzando la superficie del bacino ionico che, raggiunto un determinato livello, tende a riversarsi nuovamente nel Tirreno attraverso la linea di Ganzirri e Punta Pezzo.

In tal modo si inverte il processo e si viene a sviluppare una corrente contraria, definita “Montante”, che risalirà l’area dello stretto di Messina da sud a nord fino all’imboccatura nord di Capo Peloro, facendo straripare le acque ioniche sopra quelle tirreniche. Come è noto entrambi i flussi si manifestano gradualmente, non contemporaneamente in ogni punto, partendo dalle acque antistanti Capo Peloro ed estendendosi successivamente alle altre aree dello stretto, fino alla sua imboccatura più meridionale, lungo la costa ionica messinese, nel tratto che va fino a Capo Taormina.

Tali correnti sono attive lungo tutto lo strato d’acqua, dal fondo fino alla superficie. In tale contesto, nelle giornate di luna piena, in cui si raggiunge il massimo “gradiente di marea” fra Ionio e Tirreno, con un notevole rinforzo delle correnti, gli squali Capopiatti sembrano farsi cullare dalla corrente “Montante” (da sud verso nord) che dalle buie profondità del mar Ionio li spinge diretti fino in superficie nella parte centrale dello Stretto di Messina, dove vi trovano l’habitat ideale per la caccia di piccoli pesci e calamari, sempre abbondanti nelle acque di questo ricchissimo braccio di mare. Appena finita la caccia gli stessi attendono l’ingresso della corrente contraria, la “Scendente”, molto forte e violenta in superficie, che li riporta nelle profondità dello Ionio.

CATEGORIES
TAGS
Share This