La “Voce di New York” si interessa a Riace
Era il primo luglio 1998. Al fianco della Statale 106 pochi ragazzi sulla spiaggia in attesa dell’alba videro arrivare una nave. Prima piccola, in lontananza. Poi più grande, in avvicinamento. Al suo interno circa trecento persone, di origini curde, partite dalla Turchia e dall’Iraq verso l’Italia alla ricerca di un futuro migliore. Come tante altre. Davanti a loro una terra che conoscevano, ma solo per aver letto il nome su una cartina geografica. Se Riace, 1.800 anime nella Calabria ionica, è considerata oggi, in tutto il mondo, un modello nella gestione del fenomeno dell’immigrazione, lo deve in particolar modo a quel giorno, allo sbarco da cui tutto ebbe inizio. E anche a Domenico Lucano, un sindaco che ha sempre considerato l’arrivo del diverso come risorsa e non come scarto e che, qualche mese dopo la notte dello sbarco, anche se ancora non nelle vesti di primo cittadino, ha deciso di avviare un progetto sociale destinato a cambiare il volto del piccolo paese della Locride: Città Futura .
Dalla spiaggia che accolse i trecento profughi curdi nell’estate del 1998, al centro storico di Riace ci sono circa sette chilometri. Nel mezzo, la provinciale 93, tutta curve, piante verdi e rocce bianche. Risalendo la strada, il panorama vista mare è splendido. Ma a catturare l’attenzione di chi si avvicina al borgo sono due cartelli, poco distanti l’uno con l’altro. Il primo viola, il secondo rosso. Una sola, la scritta che li caratterizza: “Riace, paese dell’accoglienza”. E dei colori. Lasciando la macchina nel parcheggio del centro storico, infatti, si nota subito un anfiteatro arcobaleno, divenuto, insieme, centro ricreativo, parco attrezzato per bambini e sede dell’iniziativa Riace in festival, in programma ogni anno nel mese di luglio. L’anfiteatro è il biglietto da visita di un paese dall’atmosfera serena e dai ritmi pacati, caratterizzato da vicoli, scorci, stradine e cartelli. Come quello affisso nella piazza principale, che ricorda le venti nazionalità presenti nei confini riacesi: dall’Etiopia all’Eritrea, dal Ghana al Mali, dall’Afghanistan al Pakistan. E poi ancora Libia, Turchia, Tunisia e molti altri.
Addentrandosi tra i vicoli, un murales azzurro con la scritta “Dove vanno le nuvole?” dà accesso al Villaggio Globale, una porzione di città che rappresenta il cuore pulsante del progetto sociale, promosso nel corso degli anni da Città Futura. Tra le vie di questo piccolo “paese nel paese” si concentrano i laboratori che coinvolgono cittadini italiani e cittadini immigrati, senza distinzione di razza e nazionalità. Rame e vetro, ricamato e legno, cioccolato e altri alimenti: sono tante le botteghe che hanno ridato vita al centro storico, permettendo il nascere di nuove amicizie, di nuovi rapporti professionali, di percorsi formativi comuni. Non lontano dall’entrata del Villaggio Globale, una giovane coppia di nord-africani cammina lungo una stradina con il figlioletto nel passeggino. Di fronte a loro c’è Palazzo Pinnarò, sede dell’associazione Città Futura, dedicata a don Giuseppe Puglisi, ucciso a Palermo da Cosa Nostra nel settembre del 1993, per il suo impegno contro la criminalità organizzata.
“Aiutandoli, ci aiutiamo”. È sempre stato questo il mantra di Domenico Lucano, sindaco di Riace da due mandati, protagonista del progetto sociale fin dal primo giorno. È stato lui a gettare le basi per la nascita dell’associazione, assieme a un gruppo di fedelissimi, e ad alimentarla con idee e impegno. La riqualificazione di case abbandonate ha permesso un insediamento decoroso per i profughi. L’utilizzo dei fondi pubblici, invece, ha portato alla nascita di laboratori e progetti e di nuove forme di welfare mix, capaci di coinvolgere in prima persona anche i privati. A Riace, i cittadini immigrati utilizzano il “pocket money” giornaliero attraverso una moneta complementare, che permette loro di far spese esclusivamente dai commercianti riacesi, e al commercio di Riace di sopravvivere alla crisi economica. I benefici sono per tutti. Il progetto sociale proposto dal sindaco Lucano ha dato speranza non solo a chi da immigrato è arrivato a Riace, ma anche a Riace stessa. Segnato da grossi problemi demografici sia negli anni ’80 sia negli anni ’90, il destino del borgo era segnato: senza l’arrivo dei nuovi cittadini del mondo, si sarebbe trasformato in un paese fantasma.
Oggi, invece, Riace è più viva che mai. Ed è considerata un esempio, anche al di fuori dei confini riacesi. Il regista tedesco Wim Wenders ha girato un cortometraggio in 3D sul modello-Riace, intitolato La voce. Quando Wenders è tornato in Germania per presentare il suo lavoro, ha descritto il paese della Locride come un luogo in cui “cadono muri ancora più importanti di quello abbattuto 27 anni fa a Berlino”. Mentre il sindaco Domenico Lucano, che di quel cortometraggio era stato protagonista, lo scorso marzo ha ricevuto a Dresda il Premio per la Pace, grazie all’esperienza del suo Comune come modello di integrazione e accoglienza.
A Riace, infatti, tradizioni italiane e culture straniere si intrecciano tra le vie della città, dove anziani e immigrati convivono senza frizioni. C’è chi lavora nei laboratori e chi si occupa della raccolta differenziata. Chi lavora nelle spiagge di Riace Marina e chi a Riace alta. Oggi, nel centro storico vivono quasi 500 profughi e gli immigrati rappresentano nel complesso un terzo della popolazione totale: qualcuno resta, qualcuno va via dopo un periodo trascorso in paese, alla ricerca di una seconda vita. Tutti, però, vengono coinvolti nella vita della comunità. “Non so se il modello riacese sia replicabile altrove, ma so che da noi ha funzionato. Oggi, nonostante le mille difficoltà, il nostro è tornato a essere un posto felice in cui vivere”. Lo ripete spesso, il sindaco Domenico Lucano. Quella calda notte nel 1998, del resto, ci aveva creduto prima di tutti.