“Giovane per sempre” Pensiero per Kevin

“Giovane per sempre” Pensiero per Kevin

Lo sapevamo che doveva morire. Sappiamo che si tratta di una condizione generale, che nessuno salta il turno. Ma la sua morte era patologica dalla nascita. Il cuore. Quel meccanismo unico e così fragile, così unico. Eppure non è semplice. Vedere i corpi andare; una bara, il gelo, il tormento del ricordo. La morte. Arriva e non la senti, può esserci accanto e non toccarci mai. Fino a quel momento. Fino ad oggi.

Racconto la mia storia. Mi sveglio e guardo l’ora sul cellulare. Sono le 4:45. Il cellulare è pieno di notifiche, ma non faccio attenzione a nessuna di esse. Faccio male. Vado in bagno e ritorno a letto. Mi sveglio. Suona la sveglia. Sono le 6. Prendo il cellulare e vado in cucina. Metto su il caffè e guardo tutte quelle notifiche. Una è di mia madre. C’è solamente scritto “Benny”. È successo. È successo qualcosa. Apro il social network delle nostre vite e quel che vedo non mi piace. Sono semplicemente due cose: la prima è un cartello con su scritto addio e condoglianze, la seconda è la sua foto con mezzo sorriso, un occhio chiuso, il sole che illumina le sue spalle. Potrei dire che qui Kevin vuole fare il culo al mondo con la sua faccia da smorfioso e da bello alla James Dean. Ma Kevin è morto e non ho più tante cose da dire.

Torniamo a qualche mese fa, a quest’estate. Torniamo nei diversi momenti che ci hanno visto insieme. Torniamo a quella mattina che era verde oliva, la circolazione pazza, con in mano la sigaretta e il fumo fitto che usciva dalla bocca. Torniamo a uno stronzo come me che gli dice: <<Butta quella roba che sembri un alieno in fin di vita>>
Torniamo al suo guardarmi e lanciarmi un sorriso mentre mi si torce lo stomaco per quella disperazione nascosta dentro l’accettazione. Chi ero io per poterlo fermare? Chi ero io per mortificarlo, ricordandogli la sua vita ad un passo dall’esplosione? Io? Che fumo per lui e i suoi amici e gli amici degli amici? Io? Come non poter provare pietà per quel corpo strutturato male – il cuore al centro, una sola arteria a pompare, un pezzo di milza e cuore e chissà che altro dimenticato da Dio nell’atto della sua creazione? Come non potevo non urlare al mondo la sua accettazione, essere un diciottenne all’epoca, divertirsi, bere fumare ballare, andare in palestra, anche se ogni minimo sforzo poteva ucciderlo? Con quale coraggio, Dio, non piangere davanti alla sua inesistenza?

Torniamo a questa mattina, una mattina senza sole. Piove. Come se il cielo sapesse sempre quando piangere. Non è cosa giusta. Non è giusto cadere a terra, appena poggiato il giubbotto, e non sentire più niente: le voci che urlano, l’ambulanza che arriva, i medici che per due ore provano a resuscitarti sapendo che ormai è finita, finita per i più belli, i più devoti alla vita. Non è cosa giusta ora vederti sempre vivo nell’immagini che tutti postano con te perché provo a chiamarti, ma tu non esisti più. Consapevole, non ti ho mai sentito lamentarti della tua condizione. Questo ti faceva uomo. Ma sapevo della paura che ti assorbiva nei momenti più soli, dove solo la luna poteva ammirarti e cullarti. E anche questo ti faceva uomo. Ora non ci sarà più luna o ambulanze né foto con la data di domani: ora c’è solo il tonfo della caduta, il silenzio eterno, il tuo passato nella nostra bocca. Tutto hai portato con te. Miliardi di stelle intorno, profumi intensi di crisantemi e gigli, l’incantevole volo tra le nuvole sterminate. Hai il mondo ai tuoi piedi e noi non possiamo più toccarti.

Racconto la mia storia, che si ferma qui, nell’assenza dei suoi passi. Io avrei dovuto incontrarlo, minimo, per altri cinquant’anni e per cinquant’anni avrei dovuto vederlo verde alieno e carico di sorrisi per il mio paternalistico dire certe cose, nel momento errato, perché gli volevo bene, perché tutti gli volevano bene e questo lui lo ha sempre saputo ed è per questo che non si è mai arreso alla vecchiaia che lo cercava. Lui era giovane, giovane e, con orrore e un corpo splendente, giovane rimarrà per sempre.

Benny Nonasky

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