La neve a Messina è causata dal riscaldamento globale
Faceva impressione, ieri, guardare i video delle tormente di neve che imbiancavano l’anfiteatro romano di Lecce, le scogliere del Capo di Leuca e le spiagge intorno a Messina. Un Mezzogiorno in abito nordico, un Settentrione al sole: a ogni episodio ci meravigliamo di questa inversione dei ruoli eppure è uno scenario molto meno raro di quanto si possa immaginare. Soltanto negli ultimi anni si contano i casi del dicembre 2001, aprile 2003, gennaio 2006, febbraio 2012, dicembre 2014: un evento ogni 3-5 anni circa. Per non parlare di grandi geli e nevoni più lontani nel tempo, come quelli del febbraio 1956, gennaio 1985, marzo 1979, marzo 1987 e gennaio 1993. Perché, però, così tanta neve al Sud mentre le Alpi sono a secco e i Canadair volano a estinguere gli incendi boschivi? Se in questi giorni si osserva un’immagine satellitare dell’Adriatico si nota che proprio sul mare si formano strisce di nubi, chiamate «cloud-streets», che vanno poi ad addensarsi contro l’Appennino centro-meridionale, dove scaricano nevicate abbondanti anche a bassa quota. La ragione è un imponente afflusso di aria gelida di origine artica che giunge dai Balcani – ieri mattina si misuravano -16°C a Sarajevo -, attraversa l’Adriatico caricandosi di umidità e poi viene sbarrato dalla catena appenninica dove scarica intense precipitazioni.
È un po’ ciò che capita sui grandi laghi americani: Buffalo, nello Stato di New York, città tra le più nevose al mondo con 240 centimetri di neve fresca che cade in media ogni inverno, riceve l’umidità sottratta al lago Ontario dai venti freddi dell’Artico canadese. Là i meteorologi parlano di «Lake-effect snow», ma il meccanismo è lo stesso che genera la «Ocean-effect snow» in prossimità del mare, proprio come sopra al nostro Adriatico. A differenza del versante orientale degli Appennini, direttamente esposto ai venti freddi balcanici arricchitisi di umidità sulle acque adriatiche, le Alpi italiane si trovano invece sottovento, protette dalla stesso baluardo montuoso che sbarra il passo alle correnti da Nord-Est, in parte attenua il raffreddamento, ma soprattutto genera un effetto-foehn che asciuga l’aria, impedisce la formazione di nubi e precipitazioni, e mantiene i cieli sereni e cristallini. E che in questi anni di riscaldamento globale la neve visiti con frequenza quasi maggiore il Meridione rispetto alle fredde pianure del Nord, non è solo un luogo comune, la ragione sta proprio nella diversa origine delle nevicate agli estremi opposti della penisola.
Le regioni adriatiche e meridionali, benché in media più calde di quelle settentrionali, si imbiancano grazie a temporanei afflussi d’aria continentale molto fredda, proveniente in genere dalla Russia, irruzioni che anche in questi ultimi inverni divenuti più miti riescono ancora a far scendere i termometri sotto zero anche in riva al mare. Al contrario in Valpadana, dove le nevicate sono generalmente originate da perturbazioni atlantiche o mediterranee, a causa del recente addolcimento degli inverni di circa 1 °C, lo scirocco trasforma quasi sempre la neve in pioggia confinandola a quote superiori ai 1000 metri. La quantità media annua di neve fresca in Pianura Padana si è così dimezzata negli ultimi trent’anni. Ecco perché oggi è quasi più facile veder nevicare a Chieti che non a Torino! Singoli e isolati episodi freddi come quello in corso non smentiscono purtroppo l’aumento delle temperature a scala mondiale.
Proprio perché fa più caldo non ci siamo più abituati, e ogni volta ci stupiamo di più.
Fonte: www.lastampa.it
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