Simboli mistici ed esoterici per i vicoli dell’antica città di Stilo
di Elia Fiorenza
Fin dall’antichità gli uomini utilizzavano simboli ai quali attribuivano particolari proprietà e che, talvolta, indossavano o dipingevano sul corpo o sulle proprie abitazioni, allo scopo di proteggersi da influssi negativi.
Oggi come ieri, l’uomo vive in un mondo costellato di simboli con i più disparati significati che, puntualmente, sfuggono al nostro senso primario, ovvero la vista: basta però una visione più attenta e curiosa per scoprire magicamente che anche le nostre città nascondono disegni dal significato criptico e intrigato e che affondano la propria origine nello strabiliante percorso evolutivo della nostra specie.
È il caso di Stilo, in Calabria, l’antica città abbarbicata sulle falde calcaree del monte Consolino, patria dell’illustre filosofo Tommaso Campanella, libero pensatore e massone del pensiero. In ogni luogo della “illustrissima et fidelissima Civitas Styli” sono tantissimi i simboli religiosi, simboli massonici, simboli magici conservati sulle pareti delle abitazioni, in alcuni dipinti, nella tradizione leggendaria, e ognuno di essi ha uno o più significati ben precisi, proprietà e caratteristiche originarie che magari col passare dei secoli sono state modificate o travisate del tutto dall’uso che gli uomini ne hanno fatto.
A tal proposito è utile ricordare che già a partire dal 1806, fino all’Unità, esisteva a Stilo una società segreta denominata “Colonia Venetria”, probabilmente costituita da nobili e da carbonari cittadini. Non è difficile intuire come in una città fiorente come quella stilese fossero attive e culturalmente elevate, le logge massoniche, che annoveravano nei loro elenchi, una moltitudine di nobili e di intellettuali.
Un timido elemento potrebbe essere fornito osservando attentamente lo stemma della potente famiglia dei Capialbi presente in Stilo dal 1808 al 1886 circa. Lo stemma: «d’azzurro alla fascia abbassata e cucita di rosso, sostenente un busto di uomo calvo al naturale, sormontato da un compasso aperto di oro con le punte d’argento poggiate su gli estremi della fascia ed accompagnato da 3 stelle d’oro a otto raggi, due ai cantoni dello scudo, una in punta». In araldica il compasso è simbolo di giustizia, profondità di senno e conoscenza del mondo. Nella sua posizione araldica ordinaria è collocato aperto e con le punte rivolte in basso. In massoneria uno dei simboli principali oltre alla squadra è il compasso. La squadra è talora detta rappresentare la materia, ed il compasso lo spirito o la mente. Ancora, la squadra può esser detta rappresentare il mondo del concreto, o la misura della realtà oggettiva, mentre il compasso rappresenta l’astrazione, o giudizio soggettivo, e così via.
Nella tradizione orale popolare, alcuni anziani ricordano come nei primi anni del Novecento, nei palazzi Sersale, Capialbi, Bono, era attiva la pratica di riunirsi in loggia. E spesso vengono tramandati racconti legati ai famosi “tavolini parlanti”.
Altri elementi sono riscontrabili, a Stilo, su diverse antiche residenze. Per citarne alcuni, basti notare la pietra angolare di un palazzo ubicato in via G. Giusti, su cui è scalfito un compasso capovolto, nella zona dell’antica “forgia”.
Poi, in via Riccardo Citarelli (che si accede da piazza V. Emanuele), sulla parete angolare della prima casa ubicata nel vico primo, esiste un simbolo molto antico, talora chiamato “il fiore della vita”, “rosa celtica” o “rosa dei pastori”, legato al concetto di “ruota solare” e di vita, ed era diffuso con le sue varianti, a sei o otto steli, nelle culture più svariate: dall’Italia (almeno dal VII secolo a.C.) all’India, dall’Assiria al Messico.
E ancora, un misterioso simbolismo cristiano ci è offerto dalle croci dipinte sull’affresco del Pantocratore, all’interno della Cattolica di Stilo. Sul ginocchio destro e su quello sinistro del Cristo, si notano, infatti, due piccole e bianche croci greche, a coda di rondine, (quella di sinistra, poco visibile, segue il movimento della veste) mentre ai lati campeggiano alcune epigrafi in greco. Senza dubbio questa simbologia potrebbe avere un nesso iconografico con la presenza di Cavalieri gerosolomitani nel territorio della Vallata dello Stilaro.
Un ulteriore ornamento decorativo è collocato al di sotto di un balcone, sito nella zona sovrastante l’ex villa delle suore. Si tratta di una maschera apotropaica raffigurante Bacco, il dio del vino e della vendemmia, della licenziosità e dell’allegria. Queste maschere apotropaiche (dal verbo greco apotropein: allontanare) avevano la funzione di allontanare mali spiriti e malocchio. La figura di Bacco è presente, però, anche in massoneria, e la sua vita e significato appartengono allo stesso gruppo di altre divinità solari, tutti “sopportano il peccato del mondo”, tutti sono uccisi e risorgono.
Altri elementi mistici sono incastonati nella parete frontale della chiesa matrice (duomo o chiesa d’Ognissanti). Si tratta di una croce, sbalzata sul un capitello a stampella (reimpiego) accantonata da motivi floreali con foglie di acanto. La croce, per la maggior parte dei cristiani, è il simbolo dell’amore di Dio che ha mandato suo figlio Gesù a soffrire e morire in Croce per la salvezza degli uomini. La croce è un simbolo fondamentale che regola lo “spazio” e sintetizza nella maniera più semplice il “centro” in quanto la dimensione verticale (cielo) si incontra con quella orizzontale (terra). Sempre sulla parte alta della medesima parete campeggia una piccola lastra calcarea su cui sono scolpiti due pavoni contrapposti nell’atto di bere dalla coppa eucaristica. I pavoni in questo caso rivestono il carattere di doppio emblema di incorruttibilità e di immortalità. Il pavone è l’uccello che aprendo la coda mostra gli occhi di Dio e abbeverandosi al calice eucaristico rappresenta la vita dopo la morte e, quindi, la resurrezione. Un simbolo frequentissimo, questo, nel periodo dell’arte paleocristiana e bizantina.
Per concludere, abbiamo visto sempre gli stessi simboli: croci, rose, divinità, uccelli, squadra e compasso, e in ogni occasione quel famoso simbolo della conoscenza superiore. Li abbiamo rivisti sempre in elementi architettonici di un certo livello, e si possono trovare gli stessi simboli negli edifici di tutto il mondo. Le mani che li hanno disegnati sono sempre le stesse; sono stati disegnati così perché potessero essere riconoscibili, sono stati disegnati in quei luoghi perché potessero essere trovati da chi di dovere.
ELIA FIORENZA