The Honoured Society: la ‘ndrangheta sbarca in Australia
Fonte: ilcorsivocorsaro.it
Di Gea Ceccarelli
Le mafie italiane sono state in grado, negli anni, di espandersi all’estero. Se, però, chiunque conosce il fenomeno di Cosa Nostra americana, in ben pochi conoscono la ‘ndrangheta australiana, che finanzia inoltre la “madre” calabrese.
Infiltrarsi nella politica e riuscire a creare legami con le Istituzioni, da utilizzare a proprio vantaggio. E’ questa, da sempre, la strategia che le mafie italiane utilizzano per tessere la propria ragnatela e acquistare sempre più potere. Un sistema che, con il passare degli anni, è stato “esportato” anche all’estero: esempio lampante la mafia americana, “cugina” di Cosa nostra siciliana.
Ora, grazie a un’inchiesta condotta dalla Fairfax Media-Abc Four Corners, si torna finalmente a parlare della presenza mafiosa in Australia, là dove comanda senza ostacoli la ‘ndrangheta calabrese, capace di ritagliarsi i propri spazi e controllare, sempre più, le politiche locali e federali.
Ma com’è iniziato tutto? Erano gli anni Venti e, complici le migrazioni, in Australia giunsero i primi italiani: per lo più erano famiglie calabresi, originarie di Platì, Siderno e Sinopoli. Una “colonizzazione” massiccia si ebbe poi nel dopoguerra, dal ’45 in poi. Fino al ’79, i dati parlano di 4,8 milioni nuovi immigrati, di cui l’8,5% erano italiani. Emblematico, in questo senso, il caso di Griffith, una cittadina dove i calabresi rappresentano circa il 40% degli abitanti.
Sarebbe ingeneroso sostenere che tutti i migranti fossero mafiosi: certo è che, attraverso la migrazione, si spostarono anche ‘ndranghetisti, in cerca di nuovi spazi per le loro pratiche criminali. Al tempo stesso, è indubbio che, con la popolazione si trasferì anche una cultura che, anche quando non prettamente criminale, richiama i valori mafiosi. Non è un caso, per esempio, che ogni anno, in Australia, si festeggi la ricorrenza della Madonna della Montagna dei Polsi. Una celebrazione che se per un verso serve a riaffermare le proprie origini calabresi, dall’altro, rappresenta il momento più importante nella vita di un ‘ndranghetista, che considera la Madonna propria protettrice.
Secondo la ricostruzione offerta da Colin Brown, agente dell’Australian Security Intelligence Organisation, nel novembre 1964, la ‘ndrangheta in Australia nacque nel 1922 da tre boss, ritenuti i “fondatori” delle prime locali in Oceania. Si tratta di Domenico Strano, che si insediò nel Nuovo Galles del Sud; Antonio Barbaro, il Rospo, che si stabilì nello stato di Victoria, e un terzo uomo, la cui identità è rimasta sempre segreta, ma che avrebbe fondato la locale di Perth.
Tutte le locali della nuova ‘ndrangheta rispondevano direttamente alla madre patria e, frattanto, s’insediavano sempre più all’interno del tessuto economico del Paese, tanto da riuscire, nel giro di qualche anno, a ottenere il controllo dei mercati ortofrutticoli. Non è un caso, dunque, che a questa attività sono riconducibili due faide, avvenute nello Stato del Queensland e a Melbourne; vere e proprie guerre di mafia che lasciarono sul selciato una decina di cadaveri. Nessuno, però, riuscì a interpretare questi segnali come spie di una rivoluzione criminale e, anzi, la responsabilità degli assassinii venne imputata a una fantomatica organizzazione denominata The Black Hand, la mano nera, la stessa che terrorizzava gli Usa di Joe Petrosino.
Altri indizi inequivocabili sono rintracciabili negli archivi dell’epoca: nel 1925, per esempio, una dozzina d’italiani ammazzarono un poliziotto, James Clare, pugnalato al cuore. Ad essere accusato del delitto fu il calabrese Domenico Condello, che venne assolto in quanto, sostenne, il poliziotto non s’era presentato come tale. I fondi per la sua difesa a processo erano stati raccolti dal boss Antonio Barbaro.
Nel ’32, a Griffith, venne ammazzato Rocco Tremarchi, indicato dalla polizia federale uno dei primi boss della città: in quegli anni, infatti, si iniziavano ad avviare nuove locali, come quella di Melbourne, guidata da Antonio Brando. Egli, in una corrispondenza, scriveva di esser nato a Platì, e che questo era sufficiente ad affermare la propria autorità. Successivamente, la guida della locale passò a Domenico Italiano, “il Papa”, che aveva ottenuto anche controllo del Victoria ProduceMarket, il più grande mercato ortofrutticolo della città.
Frattanto, si dava il via alla coltivazione di piantagioni di marijuana, spesso finanziate dalle ‘ndrine calabresi, finché, dall’Italia, non si decise di tagliare i fondi. A quel punto, la mafia australiana si trovò costretta a procedere con i sequestri di persona e a nulla valsero le scarne precauzioni prese dalle autorità australiane.
I sequestri erano capaci di fruttare 60 milioni di dollari all’anno; soldi che venivano ripuliti a Griffith, capitale di quello che era divenuto, negli anni Ottanta, lo Stato mafioso per eccellenza. Quanti volessero intralciare l’ampliamento dei territori della ‘ndrangheta o mapparlo, vennero eliminati: nell’89 venne ammazzato Colin Winchester, vicecapo dell’Australian Federal Police, impegnato in una indagine tendente alla mappatura dei terreni acquistati da famigliedi Platì. Nel ’94, invece, Geoffrey Bowen,detective della NCA, fu ucciso da un’esplosione di un pacco recapitato nel suo ufficioad Adelaide. Egli doveva, il giorno successivo, testimoniare contro i calabresi Domenico e Francesco Perre, di Platì, possessori di una piantagione di cannabis. Altro omicidio eccellente fu quello di Bruce Donald Mac-Kay, parlamentare di Griffith ucciso nel luglio 1977: aveva più volte denunciato la produzione di droga nella zona.
Con i sequestri di persona, poi, le famiglie calabresi scoprirono un facile metodo per accaparrarsi soldi da reinvestire nel traffico di stupefacenti.Un sistema collaudato per anni, che ha trasformato dunque i migranti in nuovi e pericolosi boss locali: esempio lampante è Domenico Barbaro, “Mico L’Australiano”, il quale ha dato il via ad una collaborazione con i cartelli narcos del Sud America, conquistandosi il titolo di re del traffico di droghe nel Nuovo Continente.
La ‘ndrangheta australiana, sempre più ricca, dunque, non necessita più dei finanziamenti dalla Casa Madre; anzi: è la colonia a finanziare la stessa, come spiegò, già nel 1988, l’allora dirigente della Questura di Cosenza, Nicola Calipari: “Circa la possibilità che il denaro sporco proveniente dall’Italia venga riciclato in Australia, nulla è emerso per corroborare tale tesi. Vi sono, invece, indicazioni circa l’invio di denaro dall’Australia verso la Calabria, spesso per la costruzione di immobili nelle zone marine”.
E’ chiaro, comunque, che per fiorire così, la ‘ndrangheta australiana ha potuto contare su appoggi eccellenti: l’inchiesta dei media locali ha svelato proprio tali intrecci che, però, non sono certo una novità. La prima collusione si registra, infatti, nel ’74: ai tempi, Al Grassby, membro del partito laburista e ministro federale dell’immigrazione, finì nella bufera per i suoi rapporti con il boss Peter Callipari, con il quale si recò addirittura in Calabria per sancire il gemellaggio tra Platì e Griffith. Ma non solo: lo stesso Grassby scatenò la protesta dell’opinione pubblica quando concedette il rientro in Australia di Mico L’Australiano, già espulso.
Ancora più recente il caso di Francesco Madafferi, espulso negli anni Ottanta e fatto rientrare nel 2005, dal ministro dell’Immigrazione Amanda Vanstone. Secondo la stampa, il fratello di Madafferi, Antonio, in quel periodo versò un’ingente donazione al partito liberale in cui militava la Vanstone. Più tardi, Madafferi fu arrestato per traffico di droga e perché ritenuto implicato in un assassinio.
Alla Vanstone poco importò: era stata trasferita a Roma, a capo dell’ambasciata australiana. Proprio dove era stato inviato a lavorare anche il figlio di un boss mafioso, nonostante le informazioni recapitate al consolato dalle autorità italiane.
L’ex ministro, comunque, non è l’unica ad esser stata intrappolata nella rete di conoscenze mafiose: politicanti di entrambi gli schieramenti furono oggetto di pressioni da donatori legati alla ‘ndrangheta per favorire i loro affari, legali o illegali che fossero .Tanto più che, secondo quanto si legge su un rapporto della polizia del 2013, la criminalità organizzata ha come modus operandi quello di utilizzare noti finanziatori di partiti politici come prestanome per le loro attività illecite.
Il reportage delle emittenti australiane, inoltre, ha svelato addirittura come un affiliato alla mafia calabrese fosse riuscito, anni fa, a incontrare l’allora primo ministro John Howard, sebbene, si sottolinea, è probabile che il premier non conoscesse la vera identità dell’interlocutore.
CATEGORIES cultura e società
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