L’uomo è ciò che mangia. Il parere della nutrizionista Hilary Di Sibio
Siamo ciò che mangiamo”: è quanto sostenne il filosofo e ispiratore marxista Feuerbach. I cibi si trasformano in sangue –asseriva- e il sangue in cuore e cervello. Secondo molti antropologi esiste una profonda relazione tra il cibo e l’identità di un popolo. Ogni cultura, infatti, presenta uno specifico codice alimentare, volto a privilegiare alcuni alimenti e a discriminarne altri. Harris parla del cibo come fatto storico, la cui carenza ha determinato guerre, conquiste e crescita demografica. Il cibo come fattore simbolico: ne è un esempio la cioccolata che nel XVII secolo divenne alimento per eccellenza della corte spagnola. Cibo come topos dell’emigrazione e di quegli italiani costretti a lasciare la loro terra: Teti ha parlato addirittura di nostalgia dei sapori perduti da parte di coloro che, emigrando, si imbattevano in cambiamenti di aria e cibo. E oggi? Se parliamo di immigrazione il cous-cous è considerato l’alimento simbolo dell’immigrato; se, invece, facciamo riferimento ad un mondo che guarda alla globalizzazione non possiamo non parlare in termini globali: junk food, slow food, finger food, fast food. Insomma, il cibo corre come il mondo, volendo utilizzare un’espressione di Marc Augé. Con un articolo a puntate Ciavula richiamerà curiosità, luoghi comuni, opinioni di carattere antropologico e salutistico, rivolgendosi direttamente ad un’esperta in materia, Hilary di Sibio. Biologa nutrizionista operante tra Reggio Calabria e Milano, esperta nell’ambito della nutrizione umana e attivissima sui social, Hilary soddisferà molte curiosità in merito al rapporto tra cibo e identità culturale.
In una scala da 1 a 10 che ruolo attribuiscono le persone al consumo di cibo? In che misura può essere considerato un fattore culturale?
Sicuramente prevale un politeismo alimentare costituito da un insieme di combinazioni soggettive, mutevoli, forse tendenzialmente equi-sociali ed eco responsabili. Per molti il consumo di cibo è legato al soddisfacimento del palato più che alla qualità del prodotto e al nutrimento del corpo in tutti i suoi aspetti. Vige molta poca conoscenza della nutrizione e, ahimè, troppa disinformazione e informazione errata veicolata da figure non professionali nel campo nutrizionale. Viviamo in un’era in cui si assiste ad un abuso culturale in fatto di cibo: etologi alimentari, naturopati, iridologi, consulenti nutrizionali, personal coach, personal trainer che, spesso, tendono a dispensare consigli alimentari senza le giuste competenze, creando errata informazione e falsi miti alimentari. Talora, in centri di estetica, palestre, erboristerie o farmacie vengono elargiti consigli nutrizionali con grande libertà e fantasia. Per tal motivo, ricordo che le uniche figure professionali che per legge hanno le competenze per stilare una dieta/piano alimentare sono il Dietologo e il Biologo Nutrizionista, le uniche in grado di riconoscere le condizioni fisiologiche e patologiche del paziente e le uniche in grado di diffondere una giusta cultura alimentare contro l’abusivismo e la disinformazione. A queste figure si aggiunge quella del dietista, che può stilare una dieta in virtù di determinate condizioni patologiche e previa prescrizione medica. Dal mio canto, mi auguro che si possa arrivare ad una maggiore conoscenza dell’alimentazione sana nonché di quali siano le giuste figure in grado di dispensare consigli nutrizionali.
La dieta mediterranea è il simbolo della nostra identità culturale: di quali cibi i calabresi potrebbero fare a meno e quali, invece, risultano indispensabili ad una corretta alimentazione?
Si, la dieta mediterranea è in assoluto lo stile alimentare preventivo alla salute, riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Culturale, Immateriale dell’Umanità; inoltre, uno studio internazionale, il “Seven Country Study”, riconobbe nella dieta mediterranea il ruolo preventivo sull’insorgenza di malattie cronico degenerative, cardiovascolari e tumorali, dati che vennero successivamente confermati dagli studi avvenuti negli anni ’60- ‘90 del Prof. A. Fidanza, negli anni ’90-2010 del Prof. A. De Lorenzo, fino ai giorni nostri. Per questo motivo è lo stile alimentare che sposo a pieno e adotto nell’elaborazione dei piani alimentari. Per quanto riguarda il connubio “dieta mediterranea & cibi calabresi” ritengo che la nostra terra offra una vastità di alimenti sani e genuini, quelli che provengono dalla terra: frutta, verdura, legumi, la cipolla di tropea DOC, ettari di uliveti che producono olii eccellenti e al contempo ettari di vitigni per le produzioni di vini, ecc. Possediamo dei beni di alto prestigio, di qualità eccelsa e per assicurarci di ottenere tutti i benefici di questi frutti è sufficiente prediligere i cibi più naturali possibili e ridurre tutti quei cibi lavorati e rilavorati, ricchi di grassi saturi o animali, dannosi per la salute, quali i salami, la tipica Nduja calabra, i salumi, i formaggi eccessivamente grassi. So che, dicendo questo, scaglio un duro colpo all’etica alimentare di molti calabresi, per questo preciso che più che eliminarli totalmente, basta goderne con parsimonia e di rado, in quelle rare occasioni di condivisione che peseranno meno e faranno bene al cuore.
Cibo come fattore culturale, come polo tra leggende metropolitane e giusta conoscenza, sinonimo dello star bene, biglietto da visita della nostra civiltà locale. E che dire se si parla di cibo e sessualità?
Appuntamento al prossimo articolo.
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