La Calabria infestata da mostri. A partire dalla ‘ndrangheta.

La Calabria infestata da mostri. A partire dalla ‘ndrangheta.

Da anni, e con sempre maggiore intensità, ho maturato la convinzione che il racconto sulla Calabria – articolato secondo vari paradigmi intellettuali – sia letteralmente funzionale alla perpetuazione di un’ormai secolare condizione di subalternità dei calabresi.

La Calabria subordinata e arretrata serve ad alcuni calabresi – quelli da sempre più avvezzi a “civettare” con il potere – per mantenere e reiterare il proprio benessere (a danno, inevitabilmente, di tanti altri calabresi). E’ una Calabria voluta ed implementata anche da un’autorità pubblica che ha rinunciato a costruire un’autentica democrazia, privando la nostra terra di quei servizi e di quelle funzioni che altrove appaiono pura normalità e presentandosi da noi sotto le vesti di un potere poliziesco e clientelare insieme.

Gioacchino Criaco, in una sua recentissima riflessione, ha scritto (leggi QUI): La ndrangheta ha ammazzato o fatto scappare solo quella classe imprenditoriale non parassitaria che cercava di cambiare la nostra società; la ndrangheta ha assassinato un’intera generazione di proletari che il ribellismo lo stava indirizzando contro il potere vero, ha in parte ucciso i nostri ragazzi e in parte ha incanalato la loro forza sulla strada del crimine. Ma la ndrangheta ha agito su commissione, il mandante è sempre quella classe dirigente che scegliendo fra il peggio della nostra gente, la ndrangheta l’ha costruita, protetta, assolta e ha utilizzato l’odio dei caprai come guardiano dell’immutabilità calabrese. Ha fatto questo da dentro i tribunali, dalle segrete delle caserme e delle chiese, da tutti i posti in cui hanno dovuto passare i bisogni collettivi.

Gioacchino Criaco

Gioacchino Criaco

La narrazione sulla Calabria, di riflesso, è strumento nelle mani dei potenti, delle classi dominanti locali che diventano alleati perfetti delle classi dominanti proiettate su scala nazionale. Narrazione eterodiretta, ad uso e consumo di mass media assetati di storie da “razza maledetta” (Vito Teti docet, leggi QUI), infarcita perciò stesso di letture stereotipate e di approcci meramente superficiali. L’immagine della terra “bella e dannata”, quasi un feticcio di folclorismo deteriore, nella quale la cartolina da pubblicità quasi banale (il mare, la montagna, il cibo, ecc) è integrata ad una violenza e un’arretratrezza che appaiono semplicemente ancestrali (anche prima e oltre la ‘ndrangheta). Immagine che è giusto destrutturare e demistificare, provando a mantenere sempre l’equilibrio – assai instabile, per la verità – di realismo ed autonomia.

Questa volta, al netto della vergognosa e intollerabile morbosità verso la figura di una ragazzina preda di una violenza molto più grande del suo piccolo mondo, realismo ed autonomia ci impongono di comprendere che la narrazione politico-mediatica non è affatto il centro del problema. Questa volta (come tante altre), il problema si chiama – innanzitutto e soprattutto – ‘ndrangheta.

Nell’indicibile vicenda della ragazzina violentata di Melito Porto Salvo, dobbiamo rigettare qualunque forma di pudore benpensante e qualunque atteggiamento minimale. Dobbiamo dirlo chiaramente, senza esitazione alcuna: la Calabria – bella e dannata – è terra infestata da mille mostri, a partire dal più grande e dal più pervasivo che è la ‘ndrangheta.

Prima fila da SX: Iamonte Giovanni, Principato Pasquale, Benedetto Daniele. Seconda fila da SX: Tripodi Lorenzo, Nucera Michele, Verduci Antonio, Schimizi Davide. Non si placano le polemiche sulla vicenda delle violenze sessuali di gruppo subite per anni da una tredicenne di Melito Porto Salvo, nel Reggino, per le quali i carabinieri della Compagnia di Melito Porto Salvo hanno arrestato nei giorni scorsi otto persone (le loro foto sono state diffuse il 12 settembre 2016) e notificato un obbligo di presentazione alla Pg ad un nono giovane. ANSA / US CARABINIERI +++ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING+++

Prima fila da SX: Iamonte Giovanni, Principato Pasquale, Benedetto Daniele.
Seconda fila da SX: Tripodi Lorenzo, Nucera Michele, Verduci Antonio, Schimizi Davide.

Gioacchino Criaco, ancora, ha scritto:  Ma stavolta, nei fatti di Melito, c’è la ndrangheta per davvero; non naturalmente come organizzazione, c’è come non cultura dell’affermazione del più forte, del dritto. Non cultura che non appartiene più solo agli ambiti ndranghetistici ma sta diventando modello sociale trasversale, e quindi a giocare a fare i dritti troviamo il parente del malavitoso e quello del tutore dell’ordine; il figlio dell’impiegato che si accompagna al discendente del pastore. La predazione sessuale certo non è una prerogativa calabrese, dilaga nel mondo. È l’ipocrisia calabrese che con Melito, una volta ancora, cade, perché crolla la falsa novella del “da noi certe cose non possono accadere”. Invece sono sempre accadute, basta rileggersi Strati, o altri, per verificarlo. Il “violo” delle donne indifese è una costante del drittismo.

Sì, purtroppo, tanta parte della nostra Calabria continua ad essere questa: cultura del favore e non del diritto, subalternità alla violenza di ogni tipo, sessismo neanche camuffato. E quindi: la richiesta al “mafiosetto” di turno per un posto di lavoro o per un posto all’ospedale, l’esaltazione del giovane che riesce a farsi rispettare maneggiando la violenza o ostentando la sua forza economica, l’impossibilità per tante ragazze di uscire o di vivere liberamente.  In un quadro di servilismo e di omertà che la vicenda melitese ha esaltato oltre modo.

Non vi è solo il branco di giovani omuncoli guidati dal capetto mafioso, “nove cazzi piccoli piccoli” come sono stati puntualmente definiti da qualcuno. Vi è la mamma che fa finta di non leggere e di non vedere. Vi è il fratello poliziotto che dispensa lezioni di illegalità. Vi è il figlio del maresciallo che, evidentemente, non ha imparato nulla da suo padre. Vi è il sacerdote del paese o il Vescovo della Diocesi che non riescono a non condannare l’unica vera vittima della vicenda. Vi è il Preside che meriterebbe di essere pensionato per manifesta inadeguatezza educativa e formativa. Vi è una piccola comunità comunque incapace di uno scatto in avanti, di un sussulto di fierezza propria e di solidarietà verso una sua giovane figlia. Vi è, in conclusione, tutto il quadro e l’armamentario sociale della peggiore ‘ndrangheta: violenza, sessismo, paura, omertà, collusioni.

La manifestazione di Melito

La manifestazione di Melito

Lo abbiamo detto anche in precedenza, liberamente e schiettamente: non bisogna mai generalizzare in modo volgare e approssimativo, perchè la Calabria è tante cose – anche assai positive – insieme. Ma non possiamo nemmeno sottacere dinanzi al cancro che ci avvelena quotidianamente, quella violenza ‘ndranghetista che ammorba ogni possibilità di sviluppo nella nostra terra (a partire da una ragazzina che non può essere se stessa) e che è funzionale alla rendita parassitaria da status quo (di cui godono solo alcuni pezzi di società).

La nostra deve essere una lotta feroce per la democrazia e per la libertà: solo la rivendicazione piena e totale dei nostri diritti, insieme alla repressione di ogni sopruso, può davvero schiarirci la strada di un futuro diverso.

 

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