Gioiosa Ionica, in fiamme la villa (confiscata) del pentito Antonio “Titta” Femia
Fonte: www.corrieredellacalabria.it
Di Alessia Truzzolillo
GIOIOSA JONICA È stata avvolta dalle fiamme, sabato a Gioiosa Jonica, la villetta di Antonio Femia, 35 anni, detto “Titta”, ex broker della droga al servizio delle cosche e dei cartelli sudamericani e dal 2015 collaboratore di giustizia. Nessuno è rimasto ferito poiché l’immobile era disabitato e da poco tempo assegnato al Comune di Gioiosa Jonica. L’ incendio, che ha danneggiato gran parte delle stanze interne causando ingenti danni, sembrerebbe di natura dolosa. Il collaboratore a settembre 2015 nel corso del processo “Puerto Liberado” ha cominciato a raccontare tutto ciò che sapeva sul traffico internazionale di stupefacenti e oggi si appresta a testimoniare anche nel processo “Typographic-Acero Bis”, nato dall’operazione messa a segno a marzo 2016 dalla Dda di Reggio Calabria e che ha sgominato un grosso giro di usura aggravato dalle modalità mafiose. L’operazione portò al fermo di 34 persone grazie alla denuncia di un imprenditore messo in ginocchio dalla crisi prima e dall’usura poi. L’imprenditore decise di raccontare tutto agli inquirenti – i magistrati della Dda che coordinarono un’indagine congiunta di Guardia di finanza, Scico, carabinieri del Ros, del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Squadrone “Cacciatori di Calabria” – i quali poterono trovare riscontro anche nei verbali forniti dal collaboratore Antonio “Titta” Femia. A essere coinvolte nell’operazione furono le cosche di cosche di ‘ndrangheta degli “Ursino-Macrì” e “Jerinò” di Gioiosa Jonica, “Rumbo-Galea-Figliomeni” di Siderno, “Bruzzese” di Grotteria e “Mazzaferro” di Marina di Gioiosa Jonica. In attesa di questo nuovo processo il pentito si trova in una località protetta ma la sua abitazione ieri è stata oggetto di un incendio. Fu Antonio Femia a descrivere la composizione della criminalità organizzata di Gioiosa Jonica: «È suddivisa in locale dei Giardini, ’ndrina di Gioiosa Jonica e locale di Prisdarello», ha raccontato ai magistrati. E fu sempre lui a dichiarare che la chiesa di Sant’Antonio a Prisdarello venne costruita coi soldi della ’ndrangheta.
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