VIAGGIO TRA LE RITUALITÁ CALABRESI A ‘NTINNA I MARTUNI
Quando parliamo di Calabria e, soprattutto, di tradizioni in Calabria non possiamo non tenere presente un fondamentale comune denominatore: l’importanza della ritualità. La nostra terra vive di riti, di tradizioni che si ripetono di anno in anno, con ritmo costante e metodico, fondandosi su una spiritualità che, spesso, lascia il sapore di un affascinante paganesimo. Eppure, dai più credenti agli scettici, non si può non rimanere affascinati o coinvolti in tradizioni che, proprio qui in Calabria, si rinnovano di generazione in generazione. È quello che ho potuto constatare recandomi a Martone, sabato sera, dove ogni anno la seconda domenica di agosto è dedicata alla festa di San Giorgio e alla caratteristica ‘ntinna, innalzata come di consuetudine all’interno della piazza Vittorio Emanuele, sotto lo sguardo stupefatto di alcuni spettatori, attonito e preoccupato di altri, ma pur sempre alla presenza della statua del Santo patrono della cittadina. Un evento rituale, fondato sulla devozione al santo e non solo, quello che si rinnova ogni anno e a cui ho avuto modo di assistere per la prima volta. La ‘ntinna, così chiamata dagli abitanti, non è altro che un lungo albero di faggio di circa 28 metri, prelevato durante la giornata del venerdì antecedente alla festa dalla famiglia che decide di prestare voto a San Giorgio con l’aiuto di molti altri fedeli. Il lungo albero viene sceso giù a piedi in paese, precisamente nel punto denominato Tre Fontane, per poi riprendere il suo cammino mattina di sabato. Infatti, alle prime luci del giorno un gruppo di fedeli esperti accompagna il fusto, trainato da buoi, fino a piazza Vittorio Emanuele, nel piazzale antistante la chiesa Matrice.
Qui il semplice albero diventa ‘a ‘ntinna i Martuni, una sorta di albero della Cuccagna alla cui estremità vengono appesi cibi della gastronomia locale. Arriva la sera, quando l’albero viene sollevato davanti a un’immensa folla di fedeli che applaudono e aspettano che i più coraggiosi si arrampichino fino alla cima. Un’impresa per molti folle, per altri un rituale appunto, che si consolida e si rinnova proprio quando un albero diventa una, anzi la ‘ntinna. Perché alla base del rito c’è soprattutto questo, e cioè la codificazione di qualcosa di naturale, ordinario, che per qualche motivo diventa straordinario, simbolo dell’identità sociale di un popolo. Mentre assisto affascinata a questo evento, mi tornano in mente alcune considerazioni del grande antropologo Ernesto De Martino. Il rito, sostenne lo studioso, aiuta a sopportare una sorta di “crisi della presenza” che l’uomo avverte, spesso inconsciamente, difronte a quegli avvenimenti della vita che non riesce a controllare. L’uomo affida al rito i momenti di criticità individuali e della collettività, diventando così manifestazioni di desideri e paure e cercando in esso un’identità personale o collettiva. Forse, De Martino aveva ragione, o forse no. Quel che è certo è che ogni rito, come quello della ‘ntinna a Martone, racchiude un mondo fatto di storie umane, di culture e immagini che si intrecciano, creando il più delle volte straordinari scenari da scoprire.