Gioiosa: garantismo e criminalità
Negli ultimi tempi, la Pro Loco di Gioiosa Jonica ha il grande merito di animare il dibattito e di promuovere la lettura nella nostra cittadina. Uno sforzo importante, non sempre di agevole realizzazione, cui va fatto un plauso sincero.
L’iniziativa di sabato 21 Maggio, con la presentazione presso Palazzo Amaduri del libro “Pertanto accuso” di Michele Caccamo, va in questa direzione.
Caccamo è un poeta e uno scrittore, vittima di un clamoroso errore giudiziario. Imprenditore nell’area del Porto di Gioia Tauro, si è trovato invischiato in una brutta storia di mafia (Operazione De-jà Vu, Clan Piromalli), dalla quale è stato completamente assolto nel Marzo di quest’anno. Oltre 3 anni di custodia cautelare in un istituto di pena, hanno portato Caccamo a conoscere e approfondire la “questione carceraria” (QUI) il suo documento in 10 punti per una riforma del sistema carcerario italiano) e a farne un paladino del garantismo più assoluto.
“Pertanto accuso” è un libro intenso, potremmo definirlo “tosto”, in cui alla bellezza della scrittura di un intellettuale come Caccamo si affianca la durezza delle sue analisi sui sistemi giudiziario e mediatico italiani. Basterebbe leggere le righe (pubblicate su Il Garantista del 6 Gennaio 2015) dedicate alla morte di Roberto Jerinò – il detenuto gioiosano morto nel carcere di Arghillà la notte del 23 Dicembre 2014.
Prima delle conclusioni dell’ospite della serata, altri interventi importanti sono stati quelli di Ilario Ammendolìa (relatore dell’incontro e presentatore del libro “Pertanto accuso”) e di Rocco Femia (l’ex sindaco di Marina di Gioiosa Jonica, dalla Cassazione restituito alla sua vita familiare dopo 5 anni di custodia cautelare in carcere). Il primo ha ribadìto le ragioni fondamentali del suo garantismo radicale, dichiarando anche la sua opposizione all’istituzione-carcere per come oggi essa si presenta: uno strumento brutale di deprivazione dell’umanità, che offende il principio personalista della nostra carta costituzionale. Il secondo, con il volto ancora profondamente segnato dalla prigionìa, ha rivendicato l’onestà di fondo dell’amministrazione comunale da lui guidata e ha manifestato nuovamente l’intenzione di battersi per l’umanità letteralmente “scaricata” dentro le nostre carceri.
Nell’intervento finale di Palazzo Amaduri, Michele Caccamo ha riportato in pochi minuti tutta la rabbia e la passione – spesso abilmente mischiati fra loro – che porta dentro di sè. Ha definito indegne le carceri italiane, nelle quali viene meno il rispetto per la persona e si corre semplicemente il rischio di ammalarsi o addirittura di morire. Ha contestato le procedure giudiziarie del nostro ordinamento penale, anche in virtù di statistiche che indicherebbero una grandissima percentuale di condanne illegittime. Ha attaccato frontalmente i giornalisti e i giornali (soprattutto, quelli on line), colpevoli di ricercare morbosamente la gogna mediatica per un fine esclusivamente materiale (vendere di più).
E, allora, si impone una riflessione di carattere personale ma con una portata evidentemente generale.
Il garantismo è un principio fondamentale, di tensione morale e di civiltà giudiziaria insieme. La sacralità e l’inviolabilità della persona – principi fondamentali del nostro ordinamento repubblicano – vengono prima di ogni altra cosa: la privazione della libertà delle persone è fatto di portata gigantesca, con effetti devastanti, va doverosamente maneggiata con cautela estrema.
In questo senso, la custodia cautelare è strumento estremo, da utilizzare scientemente e con pieno fondamento, laddove abusarne irresponsabilmente diventa un autentico pericolo per la dignità della nostra cittadinanza costituzionale. Ne parlo, piccola annotazione personale, a ragion veduta e con una discreta cognizione di causa: oltre 15 giorni di detenzione illegittima e infondata, sulla base di un’intercettazione telefonica letteralmente equivocata, che hanno portato mio fratello nel carcere di Palmi e il sottoscritto a conoscere per la prima volta un mondo vissuto sempre come assai lontano.
Anche l’organizzazione carceraria, complessivamente intesa, è un sintomo della qualità della nostra democrazia. In alcun modo, le patrie galere possono tramutarsi in una “discarica sociale”, nella quale cancellare ogni traccia di umanità. In alcun modo, le patrie galere possono violare i diritti basilari della persona umana, a partire da quello della dignità delle proprie condizioni di vita. In alcun modo, le patrie galere possono tollerare morti come quelle di Stefano Cucchi o anche di Roberto Jerinò.
Pur tuttavìa, nelle riflessioni ascoltate a Palazzo Amaduri e comunque ben presenti nel dibattito pubblico della Locride, io intravedo un rischio di fondo. Contestare le gravi criticità del nostro sistema giudiziario e penale – che vi sono, talvolta anche in modo clamoroso – è operazione assolutamente doverosa e apprezzabile; svilire e squalificare le autorità (delle forze dell’ordine e della magistratura), considerandole complessivamente responsabili di errori e abusi, è un pericolo gigantesco cui sfuggire immediatamente. Soprattutto, in un territorio come il nostro: dove la presenza della criminalità organizzata è lampante e dove occorre prestare grande attenzione nel rivolgersi contro l’azione del sistema repressivo-giudiziario. Perchè, in fondo, questo è quanto maggiormente desiderato dalle forze del malaffare: aprire contraddizioni nella parte sana della società, dividere abilmente il fronte schierando cittadini contro magistratura e polizia, costruire barriere comunicative dentro il tessuto sociale e culturale di chi batte per la legalità.
Anche sulla questione della comunicazione giornalistica, bisogna fare un’attenta manutenzione di parole e azioni. Caccamo ha ragione su un certo tipo di stampa e di mass-media, ossessivamente alla ricerca del “mostro” da sbattere in prima pagina. La “gogna pubblica” – su una pagina stampata o su uno spazio web, poco cambia – non è assolutamente accettabile: nel nostro piccolo, proviamo ad evitare questo rischio comunque comune a tutti gli organi di informazione.
Non è, però, nell’attacco indiscriminato a tutti i giornali che si può individuare la soluzione del problema. Perchè vi sono organi di informazione che fanno il loro lavoro, con onestà intellettuale e con dedizione, riportando le notizie anche quando quest’ultime possono non piacere a qualcuno. Perchè se vieni arrestato per un’operazione antimafia o per un’inchiesta d’usura, un giornale non può che riportare la notizia: decidere sulla legittimità e sulla fondatezza dell’arresto, non compete a chi prova quotidianamente ad informare.
In ogni caso, a questo servono gli incontri di approfondimento, a discutere e a confrontarsi, magari partendo proprio da un libro e da un caso di vita vissuta: ciavula.it non può che apprezzare.