Le Iene, Prisdarello e “l’anima nera” di Gioiosa
Premessa numero uno. Il servizio de “Le Iene” su Prisdarello è il classico servizio della nota trasmissione televisiva: provocatorio, capzioso, funzionale ad una tesi già pre-costituita. Con le telecamere che entrano in chiesa con l’obiettivo sostanziale di farsi cacciare dalla stessa. E’ un tipo di giornalismo – abile nel miscelare e manipolare le immagini – che spesso non approvo e non apprezzo, ma che comunque ha una sua dignità da rispettare.
Premessa numero due. Padre Giuseppe Campisano e Monsignore Giancarlo Maria Bregantini sono tutt’altre persone da quello che emerge dalla puntata de “Le Iene”, assolutamente non etichettabili come legati alla ‘ndrangheta (così abbiamo imparato a conoscerle). Per il primo, più che le singole opinioni individuali, possono parlare le omelìe domenicali, le minacce anche violente subìte, la collaborazione con Libera e altre sigle della migliore antimafia. Anche al netto di una discutibile ed equivoca visita in carcere al signorotto mafioso di turno (leggi Simonetta). Per il secondo, vescovo assai più illuminato di tanti altri suoi colleghi, capace di pronunciarsi in modo forte e chiaro contro la violenza mafiosa, mi piace ricordare le parole di Matteo Cosenza (ex direttore de Il Quotidiano della Calabria), che commentò il trasferimento di Bregantini da Locri a Campobasso come “l’ennesima mazzata per la Calabria”.
Premessa numero tre. Prisdarello e Gioiosa Jonica sono fatti – per grandissima parte – da cittadini onesti, di buona volontà, alieni da ogni facile collusione ‘ndranghetista. Gli stessi che, sappiamo bene, hanno contribuito volontariamente alla costruzione della Chiesa di Prisdarello (in modo parallelo e distinto, se le parole del collaboratore di giustizia Femia si dimostreranno fondate, ai soldi investiti dalla mafia). La vitalità della società civile, impegnata sui fronti più disparati e da noi tante volte esaltata, è testimonianza plastica della resistenza attiva contro atteggiamenti e pratiche chiaramente mafiosi.
Ciò detto e premesso, occorre però avere il coraggio di fare i conti con noi stessi, fino in fondo, senza indulgere nella ricerca di continue giustificazioni o di ambigue reti di protezione. Scrivevo qualche settimana fa, in relazione all’inchiesta su mafia e usura della procura di Reggio Calabria, della convinzione << che Gioiosa Jonica – fra tante cose chiaramente e pienamente positive – sia protagonista e vittima al tempo stesso di una sorta di “anima nera”, di un rigurgito mafioso e paramafioso che rappresenta la zavorra di ultima istanza per qualunque concreta ipotesi di riscatto e rilancio. >> (leggi QUI).
Rivendico nuovamente quella riflessione. E aggiungo che – oggi più che mai – serve la chiarezza, il rifiuto dei “se” e dei “ma”, l’estraneità al “non detto” che odora di trasudante mafiosità.
Il vero problema, in fondo, non è il servizio pur provocatorio de “Le Iene”: la questione è che la ‘ndrangheta, a Prisdarello e a Gioiosa, esiste e si fa sentire. Al punto che avrebbe gestito beni pubblici come l’ex scuola elementare o investito sulla costruzione di una chiesetta.
Così come Padre Campisano e Monsignor Bregantini, al microfono del giornalista di Italia1, avrebbero fatto bene a rispondere in modo puntuale, ripudiando apertamente ogni collusione con la ‘ndrangheta. Bastava dire, con poche parole, che esiste un grosso problema etico e comportamentale se la Chiesa di Prisdarello è stata costruita anche con i soldi della mafia.
E i cittadini, a voler dirla tutta, dovrebbero avere la forza e la coerenza di rifiutare ogni assimilazione alla ‘ndrangheta, evitando riflessioni ambigue – da classica “zona grigia” – e andando oltre gli stereotipi che li vuole assoggettati culturalmente (vedi anche il linguaggio utilizzato) al potere mafioso. Anche davanti ad una telecamera che ti entra in casa all’improvviso e forzatamente: io rispondo nella trasparenza della mia posizione a favore della legalità, non casco stoltamente dinanzi alle tue provocazioni.
Non sono le forze di polizia o le autorità giudiziarie a infangare l’immagine di Gioiosa e della sua gente. Non sono nemmeno i mass media che, talvolta anche sbagliando o speculando strumentalmente (penso che la Calabria sia quasi sempre raccontata in modo eccessivamente superficiale e poco onesto), provano a raccontare quello che leggono e vedono.
A sgualcire e insudiciare l’immagine della nostra comunità, ricordiamolo sempre, è la violenza mafiosa, l’illegalità diffusa, gli atteggiamenti omertosi. E’ l’anima nera di cui ho già avuto modo di scrivere.
Amare Gioiosa Jonica significa anche e soprattutto capire questo basilare concetto di fondo.