GERACE LIBRO APERTO:Presentato “CHIUDI E VAI!” di Antonio Calabrò
“Un umanista di nuova generazione”. È con queste parole di Daniela Mazzeo che sabato 23 aprile, presso la Sala Conferenze del Museo Civico di Gerace, all’interno della fiera “Gerace Libro Aperto 2016. Il contagio”, si è aperta la presentazione del libro di Antonio Calabrò, “Chiudi e vai! Viaggi calabresi di un capotreno esistenziale”.
Uno scrittore-capotreno che, muovendosi tra i binari e le parole, su e giù per Calabria, ne racconta la realtà attraverso le storie di vita conosciute in treno. Un’analisi sociale svolta con attenzione, senza mai scadere nella banalità, e con una scrittura capace di narrare l’amarezza diffusa ormai nella popolazione per via dei tanti problemi che attanagliano il nostro tempo, ma anche in grado di far emergere le piccole gioie di coloro che continuano ad andare avanti.
Dialogando con la giornalista Daniela Mazzeo e l’editore Salvatore Bellantone, Antonio Calabrò ha spiegato come la scrittura sia sempre una conseguenza della lettura, attraverso la quale conoscere le prospettive degli altri e meglio definire la propria. La lettura è come il respirare, è un percorso di ricerca interiore di sé che, poi, tramutandosi in scrittura, diviene un percorso di ricerca degli altri. Tale incontro con l’altro può avvenire, ha continuato Antonio Calabrò, soltanto abbattendo i mattoni che tengono in piedi il muro del pregiudizio e condannano ognuno alla solitudine, la più grave malattia della nuova era, che spinge anche a provare paura di quello che non si conosce. Occorre invece sforzarsi a conoscere l’altro e a trovare nell’altro quel bene nascosto dietro un modo di pensare e di vivere che ha condotto a nuove forme di schiavitù. Senza tale impegno, le cose peggioreranno, bisogna invece sconfiggere ogni forma di pregiudizio e darsi da fare. Non c’è più tempo per parlare di speranza, occorre progettare e passare al fare, altrimenti saremo condannati alla continua fuga di quelle intelligenze che potrebbero davvero cambiare la nostra terra.
In “Chiudi e vai!” racconto le storie degli ultimi per mettere a fuoco qualcosa che molti hanno dimenticato: l’essere umano può dirsi tale non soltanto perché è capace di sorridere per le fortune dell’altro ma soprattutto quando è capace di soffrire per le disgrazie altrui. Questo tipo di società in cui viviamo, ha proseguito Antonio Calabrò, conduce al nulla. Tutto è in frantumi e l’unica cosa che permane è il consumo continuo di beni effimeri che porta alla solitudine e all’infelicità. E questo mi fa preoccupare tanto per i giovani che, ormai, si confrontano da soli, in un mondo in cui gli adulti non sanno come raggiungerli e capirli. “Chiudi e vai!” è una metafora della vita, sì, ma nelle storie dei disadattati che racconto è possibile rivedersi, ognuno di noi. Siamo un popolo costituito da folli, ognuno dei quali ha avuto almeno un’occasione nella vita per fare qualcosa di importante e invece non c’è riuscito, ha fallito, determinando una degenerazione della propria vita. Ma in questo mondo che non offre più opportunità, occorrerebbe essere ancora più folli, più coraggiosi per dimostrare di non appartenere a questa Calabria decadente e di far parte, invece, di una Calabria diversa.
Io amo e odio la mia terra, ha concluso Antonio Calabrò, accendendo la lanterna della Disoblio, è uno dei luoghi più belli della Terra ma anche uno di quelli in cui c’è tanto da fare. La Calabria ha bisogno di consapevolezza, deve essere letta e raccontata in un altro modo, combattendo innanzitutto l’esodo dei giovani e degli intelletti, la più grande piaga a cui la nostra terra sembra essere condannata.