Gioiosa e la Locride non sono un deserto sociale

Gioiosa e la Locride non sono un deserto sociale

Giovanni Tizian è un giovane e brillante giornalista de L’Espresso che scrive di mafia (non solo articoli di giornale, anche libri come “Gotica. ‘Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea” o “Il clan degli invisibili”). Scrive con piena cognizione, avendo provato sulla sua pelle cosa rappresenti la merda della ‘ndrangheta: originario di Bovalino, ancora bambino ha lasciato la Calabria dopo l’uccisione di suo padre bancario, per il suo lavoro di giornalista è stato minacciato di morte e vive sotto scorta.

Qualche settimana fa, Tizian ha pubblicato un articolo dai contenuti forti, assolutamente da leggere, di grande delicatezza descrittiva ed interpretativa, dedicato ad un fenomeno nuovo riguardante alcuni giovani rampolli di ‘ndrangheta: “Quei minori tolti a mamma Mafia” (leggi QUI).

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La riflessione del giornalista de L’Espresso è molto importante, in larghissima parte condivisibile: sottrarre i figli della ‘ndrangheta alle proprie famiglie e affidarli a comunità che possano offrire loro un’alternativa di vita – secondo quanto fatto negli ultimi anni dal Tribunale dei Minorenni di Reggio Calabria – è una misura pesantissima, di lettura ambivalente, che va comunque a colpire l’idea proprietaria e ancestrale che caratterizza i figli della mafia.

Così come è significativa l’immagine di sfondo che traspare dall’articolo complessivamente inteso, quella che ci ricorda come la violenza mafiosa continui ad essere parte integrante del nostro territorio e come permanga ancora una difficoltà estrema a fuoriuscire da un destino personale e collettivo dominato letteralmente dalla ‘ndrangheta. Basta rammentare gli attentati – di ogni tipo e di ogni declinazione, agli amministratori e agli imprenditori – che ammorbano quasi quotidianamente le nostre comunità. Perchè una cosa deve essere chiara, anzi lampante: la ‘ndrangheta esiste e fa letteralmente schifo, impregna tanta parte della società di oggi – anche e soprattutto qui da noi.

Ciò detto, nell’articolo di Tizian vi sono anche un paio di passaggi che – sia pure nella loro brevità quasi incidentale – poco mi convincono sul piano dell’analisi interpretativa e che sembrano dettati da una visione artificiosa della realtà. Il riferimento, ovviamente, va alle righe conclusive dedicate a Gioiosa Jonica e al Centro Don Milani.

Il Centro Don Milani, da anni e con grande volontà, svolge un lavoro molto importante in un contesto sociale così fragile e così carico di contraddizioni come il nostro: la messa alla prova del giovane mafioso S. – mandato al Don Milani su specifica disposizione di un giudice – dimostra la bontà delle attività svolte dal Centro diretto da Francesco Rigitano. Un impegno che, fra le altre cose, garantisce luoghi di socialità (si pensi anche agli impianti sportivi e al parco giochi per i bambini) e posti di lavoro (nel sociale – questo ancora in pochi riescono ad afferrarlo senza malizie di sorta – è possibile fare imprenditoria sana e produrre economia).

Giovanni Tizian

Giovanni Tizian

Anche qui, però, bisogna avere la serietà imperativa di rappresentare compiutamente le cose. Tutte le cose.

Il Don Milani non è affatto l’unico presidio di democrazia e di resistenza presente a Gioiosa (o, più in generale, nel territorio della Locride). In quest’ottica, Tizian si lascia scappare alcune espressioni semplicemente eccessive e ingenerose, non rispondenti alla realtà effettuale: sul “deserto della Locride“,  sul “crescere qui, o a Rosarno, o tra i boschi dell’Aspromonte, oppure nel quartiere Archi di Reggio Calabria, è una lotta quotidiana“, sull’assenza completa “di cinema, teatri e polisportive” e “di sale giochi e strade abbandonate come unici spazi di aggregazione“.

Semplicemente, questo non è. Gioiosa e la Locride – comunità perennemente in ritardo e costantemente al limite delle proprie pesanti deficienze – non sono un deserto sociale e non sono nemmeno un vuoto di controffensiva democratica alla mafia. Esistono i cinema (nella Locride, attualmente, ve ne sono almeno 3), esistono i teatri (Teatro Gioiosa su tutti, ma anche tanti altri piccoli spazi teatrali nei vari comuni locridei), esistono le polisportive (citiamo la sola Gioiosa: calcio e futsal, pallavolo, basket, tennis). Esistono esperienze coraggiose ed innovative, assai più che in tante altre parti d’Italia, come ad esempio l’accoglienza dei migranti o la cooperazione sociale che si impone su scala nazionale. Esiste, più in generale, una società civile che pulsa di attività e di iniziative, un tessuto culturale che prova a costruire concrete ipotesi di riscatto.

Tizian queste cose, ne siamo certi, le conosce e le pensa anche.

Io una piccola paura ce l’ho, già in precedenza mi è capitata l’opportunità di esprimerla. E’ la paura di una narrazione mass-mediatica (sul piano nazionale prima ancora che su quello locale) che dinanzi alla ‘ndrangheta reagisce con il riflesso condizionato di sempre: quello che ti porta a raccontare una Calabria quasi immobile, invischiata nelle sue mille ramificazioni e collusioni con il malaffare e incapace di produrre (se non grazie a vicende e personaggi quasi isolati) fermenti nuovi nel corpo vivo della società.

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La descrizione stereotipata che spesso si propone su pezzi di società e di comunità (come quelli di Gioiosa Jonica e della Locride) non solo è sbagliata (troppo semplicistica, ad uso e consumo di un pubblico già addomesticato) ma è anche pericolosa (i processi culturali in corso, che vedono un consenso sociale verso la violenza ‘ndranghetista in lenta ma progressiva decrescita, non devono essere mischiati in un indistinto calderone della “Calabria terra di nessuno”).

La ‘ndrangheta rimane il male assoluto della nostra terra e non esiste alcuna cartolina calabrese su bellezze naturali o prelibatezze culinarie che possa oscurare questo dato: non rassegniamoci, però, ad un’idea di subalternità alla mafia che nasce innanzitutto dall’immagine proiettata, dalla e sulla Calabria.

 

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