Alluvione! Ma che novità è questa …
“Non è bella la vita dei -cittadini della jonica-, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque.”
Questo è l’incipit musicale di Gente in Aspromonte, pubblicato dal suo autore, Corrado Alvaro, nel lontano 1930. Ma se omettiamo l’indicazione dell’anno in cui fu possibile leggerlo per la prima volta, ritorna fresca quell’immagine che abbiamo oggi sotto i nostri occhi. Basta poco per vedere la marina sommersa, le colline con i loro abitati scivolare a valle, le strade franate, i ponti crollati, le fiumare esondate, la ferrovia in balia delle onde, i lungomari a pezzi, le spiagge erose. Un film tragico, ripetuto con puntualità ogni anno e più volte nello stesso anno.
Quella era una natura abbandonata a se stessa, sotto gli effetti alluvionali distruggeva e ricreava, e le comunità adagiate sul territorio erano realtà arcaiche, chiuse, isolate anche per la mancanza di strade, specialmente nell’entroterra, che mostravano i primi elementi di cambiamento dinamico che gradualmente avrebbero portato ai giorni nostri. Due mondi distanti, incomparabili e allo stesso tempo intimamente legati dalla fragilità del territorio aggravata dal progresso che si è voluto realizzare in sfregio al suo equilibrio idrogeologico.
Oggi siamo all’ennesimo bollettino di guerra. Ma come lo vogliamo spiegare? Diamo la colpa al cielo che ha allentato troppo le cataratte, riversando sulla terra quantità d’acqua incommensurabili e devastanti. E sarebbe da ciechi non vedere che siamo di fronte a dei cambiamenti climatici doviti ad una alterazione del naturale equilibrio dell’effetto serra indispensabile alla vita sulla terra. Il nostro livello di benessere è frutto di un apparato produttivo planetario che emette nell’atmosfera quantità inquinanti ad di sopra della soglia di guardia, e continuando in questa direzione sono già prevedibili scenari apocalittici già nei prossimi decenni.
Se al riscaldamento dell’atmosfera accostiamo il tipo di sviluppo e di governo del territorio gli effetti si sommano rovinosamente. I letti delle fiumare si sono ristretti e mancano della necessaria manutenzione; nelle montagne abbandonate sono assenti le piccole opere idrauliche dell’uomo; i canali di scolo come i tombini non vengono ripuliti; ogni strada rimane una ferita aperta nella carne viva dei boschi, dei pendii e delle pianure, priva delle opere di difesa; sulle frane non si interviene più; i lungomari sono costruiti e ricostruiti a breve distanza del bagnasciuga; finanche le abitazioni si costruiscono laddove non si dovrebbero; e più in generale le opere pubbliche, spesso oggetto di ruberie, vengono costruite male.
In queste ore faremo i soliti fuochi di paglia, ce la prenderemo con tutti e con tutto, ma mai con noi stessi, con la nostra debole o assente coscienza civile, quella che denuncia e si mobilita contro le storture, le piccole e grandi cose innaturali. Quando lo faremo avremo fatto il primo passo verso un mondo nuovo.