Un Angelo di nome Gabriele volato in cielo troppo presto
Un Angelo di nome Gabriele volato in cielo troppo presto.
Qualche settimana fa, scrissi un editoriale in cui comunicavo ai lettori le mie dimissioni da editore di Ciavula. Oggi, ho chiesto a Ciavula di ospitare un mio pensiero. Un pensiero che vorrei condividere, perché domani, 31 ottobre, sarà un giorno difficile e complicato. Domani, 31 ottobre, saranno esattamente passati tre anni senza Gabriele.
La sua storia sono in pochi a conoscerla, soprattutto a queste latitudini. Perché Gabriele, anche se nel sangue aveva la passione e la generosità della Calabria, viveva in Liguria. Inizio però col dire che Gabriele era mio cugino. E quindi, questo articolo, sarà un articolo di difficile scrittura, per tanti motivi. E continuo con il dire senza mezzi termini che Gabriele, mio cugino Gabriele, è morto ammazzato, vittima di un ignobile e malvagio disegno criminale. Vittima innocente assassinata senza l’utilizzo di piombo e lupara, e per questo da pochi ricordato durante le cerimonie ufficiali.
E allora voglio ricordarlo io, da quaggiù, mentre a Loano, in provincia di Savona, suo padre Rolando, sua madre Mary, sua sorella Eleonora, circondati dai loro amici e da tutte le persone che hanno avuto l’onore e la fortuna di conoscere Gabriele, si stanno preparando all’omelia che sarà celebrata in suo ricordo domani nella parrocchia di San Giovanni Battista.
Questa è la storia. Rolando, calabrese trapiantato in Liguria, anni fa, si ribellò alla ‘ndrangheta. Fece una scelta di vita che in pochi, ancora oggi, hanno il coraggio di fare. Denunciò un sistema malato, rinnegò la sua famiglia di origine, ruppe i vincoli di un sangue ormai infettato per stringere vincoli sempre più solidi con la dignità personale, l’onestà e la lealtà. Una presa di posizione netta, chiara ed inequivocabile. Uno spartiacque esistenziale.
Sin da subito, intorno a lui, gli fecero terra bruciata. Ma Rolando era forte e tenace. Reagì, e nonostante le intimidazioni e gli avvertimenti, riuscì a ripartire, a mettersi in proprio. Aprì una sua azienda, basata sull’onestà, la trasparenza e la lealtà. Un’azienda pulita, sana, proprio come lui.
Ma questo, tutto questo, a molti non piacque. I segnali non tardarono ad arrivare. Ripetutamente i mezzi di cantiere vennero fatti saltare in aria. I macchinari sabotati.
Servivano spalle larghe per fronteggiare nemici sempre più potenti e agguerriti. Rolando era in guerra, ma in quella titanica guerra, Gabriele, suo figlio, mio cugino, morì. Cadde sul campo di battaglia come un eroico guerriero.
Gabriele, come suo padre, sin da piccolo manifestò un amore viscerale per i mezzi meccanici. Passava giornate intere con Rolando, al cantiere. Giocava, si divertiva, imparava. Era un ragazzo semplice, pieno di energie e di gioia di vivere. Umile. Ma soprattutto era un ragazzo estremamente educato e rispettoso con tutti. Conosceva l’importanza del sacrificio e del lavoro. Conosceva bene la guerra che suo padre stava portando avanti. La condivideva. Sapeva che era la cosa giusta da fare. Decise, senza remore e senza paura, di affiancarlo. Nonostante i rischi e i pericoli. Per questo, Gabriele, soprattutto dopo alcuni danneggiamenti fatti agli automezzi, di notte, da solo, all’insaputa dei suoi genitori, andava in cantiere a controllare che tutto fosse tranquillo. A fare la ronda contro i criminali. A dissuadere quei delinquenti, che come i ratti, agivano con il favore delle tenebre.
Gabriele andava in cantiere anche il sabato e la domenica. E anche nei giorni festivi. E spesso, già che c’era, ne approfittava per fare qualche lavoro. Voleva che Rolando fosse fiero di lui.
Gabriele andò a lavorare anche quel maledetto 31 ottobre. Correva l’anno 2012. Pioveva. Ma non era importante. Non bastava qualche goccia d’acqua a trattenerlo a casa. Anche quel giorno, voleva fare qualcosa. Dare una mano. Era solo in cantiere. Prese l’escavatore. Lo mise in moto. Voleva sistemare un po’ di detriti. Poi d’un tratto il boato. Un pezzo di monte si staccò e lo prese in pieno. Una massa enorme di terra e roccia lo schiacciò insieme all’escavatore. Per Gabriele non ci fu scampo. Morì sul colpo a soli 18 anni. Schiacciato da un destino infausto e da colpe che prima o poi dovranno venire alla luce. Perché è questo quello che Rolando ha giurato quel giorno, nel momento più terribile e funesto della sua vita.
Ai funerali, un bagno di folla salutò commossa quel ragazzo dagli occhi buoni e dal sorriso sincero. A centinaia si strinsero intorno a quella famiglia sfiancata da un dramma immane.
Rolando non trova pace. Non può trovare pace. Sa bene che quella tragedia si poteva evitare. Sa bene che ci sono delle responsabilità precise. Sa bene che Gabriele è vittima di quella guerra che anni fa decise di combattere contro la ‘ndrangheta. E sa bene che Gabriele merita giustizia. Che chi ha causato quella morte così ingiusta deve pagare. Perché quello che è capitato a Gabriele non è stato un incidente. Rolando da anni chiedeva e richiedeva alla Regione Liguria di intervenire su quel costone. Ma niente. Istituzioni latenti, come sempre. Eppure non si diede per vinto. Insistette infinite volte, fino a quando, considerato quel silenzio istituzionale, presentò richiesta alla Comunità Montana competente al fine di ottenere le autorizzazioni necessarie per poter intervenire, a sue spese, e mettere finalmente in sicurezza quell’angolo di cava. Niente. Tutte quelle richieste pressanti di protezione e sicurezza vennero ignorate. Addirittura contrastate. Osteggiate. Perché Rolando era un infame.
Eppure quelle crepe erano visibili ad occhio nudo. Cosi come visibili erano le omissioni di intervento anche sulla canalizzazione delle acque piovane nell’intera cava che provocavano, in continuazione, cedimenti e frane. Sempre comunicati alla Regione. Sempre ignorati dalla Regione.
Capita sempre così. Tutti gli imprenditori con la schiena dritta che denunciano vengono isolati, emarginati, umiliati, ostacolati. Ma non tutti pagano un prezzo cosi caro.
Domani, 31 ottobre 2015, saranno tre anni senza Gabriele. Ed io non posso non ricordarlo. Ciao Gabriele. Noi, saremo sempre fieri di te.
Giuseppe Trimarchi