Figli che uccidono le madri
Figli che uccidono le madri.
Due luoghi diversi della stessa regione: Cosenza e Melito Porto Salvo in Calabria. Due date nello stesso mese: 13 e 25 maggio 2015. Due matricidi, e i responsabili sono entrambi giovani diciassettenni, figli che non hanno tollerato i rimproveri e le punizioni delle madri. Troppe le analogie inquietanti, comprese la fredda premeditazione e la versione dei fatti, volta a far ricadere sugli altri le proprie responsabilità. Hanno agito terribilmente da soli con calcolata lucidità, scegliendo il momento opportuno e le modalità senza tentennamenti.
Il matricidio è il più terribile dei delitti: il figlio uccide chi l’ha messo al mondo, chi gli ha donato quell’unica vita che gli ha consentito di esistere, sopprime metaforicamente la sua stessa natura.
Nella mitologia, Oreste uccise la madre Clitennestra che a sua volta gli aveva ucciso il padre. Con questo atto efferato aveva tolto al figlio la possibilità di identificarsi con una figura maschile e, quindi, gli aveva negato la necessità di crescere come uomo. Il matricidio di Oreste rispondeva al bisogno insopprimibile di affermare la propria identità maschile.
Il più famoso matricida della storia è stato Nerone. Uccise la madre Agrippina per ribellarsi alla sua sottomissione, ai rimproveri, alle accuse, e al diniego di sposare la donna che desiderava. Il matricidio di Nerone fu un atto di liberazione dall’opprimente potere materno.
Freud affermava che la madre è necessaria come fonte di vita e di crescita ed, altresì, ad un certo punto dell’esistenza, è necessaria la separazione da lei e dal suo immenso potere. I legami psichici devono cessare di fronte all’allontanamento di quelli biologici.
Nel nostro caso, tuttavia, siamo di fronte a dei minorenni e non riusciamo a individuare nell’età il momento della divaricazione dei legami psicologici da quelli biologici. La figura della madre era ancora indispensabile per completare la crescita dei figli.
Personalmente non credo nella follia di un attimo, nel gesto sconsiderato, improvviso e imprevedibile, ma ad un processo graduale di inaridimento dei sentimenti e dei valori, dove all’amore si sono sostituiti l’odio e la ribellione. Ma non è stato un crescendo silenzioso. Sicuramente ci saranno stati segnali non ascoltati, non affrontati nel modo più efficace. E ciò chiama in causa la famiglia e tutti noi, distratti e inadeguati a comprendere assieme alle strutture sociali. Alla condanna dei figli degeneri va privilegiata una riflessione critica su noi stessi, immersi in una società palesemente alienante.