Uccise usando Facebook
Su Facebook, è sempre il soffio della solitudine a sospingere ogni post lanciato alla velocità della luce sulle larghe e infinite autostrade invisibili del suo planisfero. Ad ogni istante del giorno corrono pensieri inesausti come folate di milioni e milioni di infime stelle, brulicanti nella volta globale delle cose ingannevoli e sincere, illusorie e vere, futili e serie così come è fatta la vita. E’ come se gli abitatori di un intero pianeta fossero stati iimbrigliati in uno sterminato coro polifonico compulsivo, fatto di immagini e colori, suoni e parole diversi e mutevoli, evasi dalle menti disperse in stanze soffuse e remote per incontrare l’ignoto acquattato nelle pieghe delle latitudini dei continenti e dei mari. E l’ignoto può avere la forza dell’imprevedibile destino fatale quando la sofferenza annida nelle crepe contrite del cuore, e volge in alto la speranza, e l’affida al pulviscolo trepido delle costellazioni per trovare la felicità agognata nell’anima gemella. E allora, si spande nell’etere virtuale l’eco di un canto accorato, venato di dolore.
Lisa, nel suo minuscolo angolo buio, avvolta nelle brume angosciate della mente, poggiava lievi le dita sulla tastiera e le lacrime scendevano a dettare le parole.
“nella mia vita ho preso i treni immaginati in folle corsa verso le terre dei sentimenti e delle emozioni dove il sole non conosce i tramonti e le albe avverano i sogni inesplorati e nuovi di ognuno ho creduto fosse quello giusto e definitivo dell’amore che non muta al mutare del tempo fino a quando il lambire di mani tremanti e scarne rinverdisce le primavere incantate della giovinezza finita ma puntualmente e mestamente sono scesa nelle stazioni vuote segnate come i gradini della crescita lungo la scala del mio breve e incerto salire non nutro né odio né rancore ho preso sempre su di me la colpa perché non imparo e non so cambiare non so indossare la maschera della falsa apparenza e rinunciare a ciò che sento e credo non chiedo nulla amo l’amore e a lui mi dedico interamente e incondizionatamente non pretendo nessuno ai miei piedi prostrato libertà fedeltà e rispetto devono intridere felicemente senza possesso gelosia e sospetto non so cosa provi e se mi cercherai io sono qui dove tu mi vedi”
Aggiunse il suo stato d’animo “triste” e cliccò su “Pubblica”. Il post si diffuse istantaneamente tra tutti i suoi contatti. Asciugò col dorso della mano i lucciconi scesi in rivoli contorti sulla pelle liscia delle guance arrossate e attese, trepidamente attese.
Il post della solitudine cadde nel vuoto delle solitudini di sguardi distratti, forse commosse chi si riconobbe nella somiglianza di almeno un tratto buio del suo vissuto e non ebbe il coraggio di mostrarsi, non ricevette commenti di consolazione e nemmeno un “mi piace”. Solo silenzio, la freddezza della rete che non seppe affrontare la sofferenza e la ignorò con ostentato distacco. I cacciatori ossessivi di immagini non volevano leggere e neppure pensare, oppure incuteva sgomento muto quel racconto succinto di una giovane vita amorosa, di una donna che fuggita da un uomo violento lo cercava ancora, declamava di nuovo il suo essere e il suo sentire ed era disposta a credere alle bugie di altre ancora, ripetute promosse mai mantenute. Lisa, dall’animo libero, forte e fragile insieme, tornava alla vacua felicità delle terre sognate, naufragava nell’attrazione che misteriosamente lega le vittime agli aguzzini, nella passione, nella struggente e irragionevole nostalgia di carezze e abbracci e amplessi gioiosi e crudeli, come fossero facce inscindibili, ineluttabili di un Giano bifronte, per il quale il cuore cancellava la ragione e pagava un prezzo inumano per amare e sentire reale l’illusione di essere amata. Al momento del brusco distacco, dolorante e furibonda si era disfatta del cellulare e avrebbe cancellato il suo profilo su Facebook se avesse saputo come fare, ma ne aveva cambiata l’immagine ed eliminato le foto personali. Pensava di recedere ogni tentacolo col suo mondo reale e virtuale per farsi dimenticare, cadere nell’oblio, ma ora, scordando tutto, scendeva di nuovo all’inferno come un ignaro agnello sacrificale.
Luigi, ferito nell’orgoglio e tronfio di livore arrogante, guardò il post e si disse: “eccoti tornata nella mia rete pesciolina, ma non hai sofferto ancora abbastanza per aver osato lasciarmi.” Cercò Lisa tra i suoi amici e la rimosse, Face ne avrebbe impedito la ricezione dei post dell’uno e dell’altra, salvo la possibilità di spiarne i profili e le attività. Lei se ne accorse non trovandolo più tra la cerchia dei suoi contatti, e si senti in frantumi e umiliata come se le avesse sbattuto la porta in faccia. Ora, doveva soltanto smettere di cercarlo, imboccare la via difficile della liberazione e ringraziare la sua buona stella per quel respingimento benefico, un usitato pericolo tranciato di fronte alla sua ricaduta.
Passò qualche mese nel calore della casa del paese dove si era rifugiata. Nei luoghi e tra le compagnie di un tempo rivisse la fanciullezza, i sogni e l’affiorare dei rossori pudici nella bellezza ignara, dei segreti innocenti ai primi palpiti del cuore, e quando le giornate allungarono il passo nel tepore primaverile, Lisa, con il risveglio della natura, ebbe un’idea semplice e avveduta, nata dal libero e sofferto convincimento: “l’amore che fa male non può essere amore.” Comprese che quell’uomo, come una bestia, si nutriva dei suoi sentimenti e della sua carne, usava le menzogne e le promesse per annullare la stima e l’amore verso se stessa. Rifiorita ad una nuova vita tornò ad irrompere nella rete.
“nella mia vita il bello deve ancora avvenire
sono caduta ed eccomi rialzata per cercare nuovi orizzonti con chi mi voglia sul serio
serio è chi è folle imprevedibile istintivo e sincero che non ha tempo di pensare ha voglia di correre partire andare con il sole e con la pioggia e mi trascina con sé unendo le nostre vite
serio è chi nelle notti di luna piena siede incantato sulla riva del mare e mi prende le mani quando cerca le parole che le sue emozioni gli impediscono di trovare
serio è chi sa perdersi nei miei occhi umidi quando un bacio sulle labbra non può bastare sa sentirmi pulsare nelle sue vene quando mi assalgono quelle asprezze e debolezze che non mi farà mai pesare
serio è chi non coglie nulla se non dà tutto se stesso e non dice mai sei mia perché l’amore è libero non possiede e non è posseduto”
Aggiunse il suo stato d’animo “speranzoso” e cliccò su “Pubblica”. Il post si diffuse istantaneamente tra tutti i suoi contatti. Fu visto da molti, ricevette parole di augurio e compiacimenti, fu condiviso moltiplicandone la visibilità a dismisura. La rete mutò atteggiamento e seppe farsi calda e solidale.
Michele ha visto il post di Lisa e ha cercato il suo profilo per chiederle l’amicizia. Lisa gliel’ha concessa dopo aver visitato quello di Michele, come se la sua diffidenza lo volesse soppesare. Ci fu un intreccio di click, azioni e pensieri, che portò all’incontro due persone che si credevano assolutamente estranee e distanti, tra le quali nasceva un interesse, forse una simpatia istintiva, eterea e senza sguardi diretti, in modo inatteso e in una sorta di vuoto che Michele si affrettò a colmare commentando brevemente il post di Lisa.
“Io credo di essere serio, e se sarà vero amore ti chiamerò compagna.”
“Compagna”, pensò Lisa, “come compagna di giochi di scuola di vita,” Per lei quel termine racchiudeva un incontro duraturo, coinvolgente e denso di sentimenti ed emozioni tra due persone che liberamente si scelgono e decidono di camminare insieme su una strada paritaria e indipendente. Cliccò “mi piace”, sul rettangolo del commento e aggiunse:
“Compagna mi sta bene ma se non nasce la passione diventa dolo amicizia”
Michele comprese che la risposta di Lisa era un invito a conoscersi e la contattò in chat. Seguirono giorni e notti di parole, pause e silenzi mentre fluiva lo scambio delle esperienze e dei desideri di due giovani vite. Tutto apparve più chiaro, quando Lisa inserì nel profilo di Face una sua fotografia recente: era raggiante, come rinata, con lo sguardo cerulo rivolto ad un limpido futuro; sugellava la definitiva sconfitta di una passato caliginoso e spento. La nuova storia poteva cominciare.
Un centauro sfrecciava veloce sull’A3, non guardava il panorama che s’apriva al ruggito della Harley, pareva un messaggero in tuta e casco neri con bande argentate, che brillavano al sole come saette fendenti gli scenari del traffico autostradale. Scavalcò la dorsale dei due mari e raggiunse la litoranea 106. La, lo sposalizio dei gelsomini con le brezze marine ingravidava l’aria delle fragranze e dei profumi trascorsi, riempiva le notti estive mischiandosi ai sussurri che con labbra sottili risalivano incessanti dalle rive dello Ionio, ma il centauro vide solo l’immondizia incontrare il salmastro, e sentì acri zaffate entrare nelle nari. Straniero com’era non poteva immaginare quanto le antiche bellezze della costa magno greca fossero degradate nella modernità artata, priva di vero progresso. La statale era pericolosa e affollata, su di essa si riversava la vita dei paesi congiunti dal nastro asfaltato, vi transitavano i bisogni delle popolazioni assieme ai traffici di droghe e di armi. Si fermò un attimo per sgranchire la schiena e le gambe, e capire in che posto era finito. Vide le spiagge erose, i lungomari sconvolti dalle mareggiate, i templi crollati e le onde sfrangiarsi sulle loro rovine per inghiottire le civiltà dimenticate. Pensò che non vi fosse un angolo dove innamorarsi e forse questo era quello che voleva.
Sul lungomare le onde giungevano inquiete, dilagavano rumorose sulla battigia slargata, il vento di ponente spingeva un susseguo di spume che muovevano dal lontano profilo lacero dell’orizzonte. Lisa, con i lunghi capelli scarmigliati, era immersa nel bianco e l’azzurro delle giornate memorabili. Colori intanati con il vestito elegante indossato, con l’animo e gli occhi che splendevano di nuova luce e dell’energia che avvampava tutta se stessa. Non sapeva dove posare gli occhi e le mani, attendeva ansiosa e felice. Ripensava per riassicurarsi alle parole di Michele:
“Dimmi dove e quando e sarò puntuale anche se dovessi fare dieci volte il giro del mondo.”
Nel petto i palpiti battevano forti e intensificavano il ritmo col volgere dei numeri del cellulare verso l’ora fissata. Il rombo della Harley si distese puntuale sul breve rettifilo che incrociava il lungomare. Il centauro parcheggiò la grossa due ruote, smontò dalla sella e si diresse nella direzione di Lisa. Sciolse il casco lentamente e quando le fu vicino lo tolse all’improvviso per sorprenderla con un sorriso beffardo e crudele, un ghigno sprezzante e compiaciuto. Lisa trasalì e sentì il sangue raggelarsi nelle vene, rimase sospesa in un turbinio di terrore, ma trovò la forza per reagire.
“Vattene via non è te che aspetto”, gli urlò tesa, stringendo le unghie delle dita nel palmo delle mani con tutta la sua forza.
“Lo so che aspettavi Michele! Io sono Michele, io sono Luigi, io sono quello che voglio, posso avere mille profili e Facebook mi lascia fare, lo uso come mi pare e lui diventa mio complice fedele. Mi hai abbandonato per venire da me e con me stesso mi hai tradito, povera illusa puttana!”
Lisa comprese l’inganno in cui era caduta. Scappò via gridando “sei un mostro!” E il mostro con uno slancio belluino la raggiunse e la artigliò alla gola, spingendola contro la corteccia scagliata di una palma. Lisa guardò in alto mentre il tumulto soffocava scemando. Il fusto dell’albero era troncato, privo di linfa vitale e di rami. Un parassita vorace e assassino gli aveva dato la morte.