Il cielo e la terra devono essere di tutti

Il cielo e la terra devono essere di tutti

terra dallo spazio

“Il cielo è di tutti” è una famosa poesia di Gianni Rodari, il grande poeta e narratore di fiabe per ragazzi, che mi riprometto di far conoscere ai miei nipoti appena ne potranno apprezzare gli insegnamenti profondi e ricchi di quella carica umana che presagisce un mondo altro e diverso.
Le prime due quartine di questa poesia sono quelle che seguono:
“Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.
È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell’ortolano,
del poeta, dello spazzino.”
….. E conclude chiedendo:
“Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.”
Rodari guardava il cielo tenendo i piedi ben saldi sul pianeta terra delle divisioni, ma a distanza di molti anni abbiamo il punto di vista cosmico, opposto e coincidente, di chi per sette mesi ha girovagato nel cielo tenendo lo sguardo fisso sulla terra. Samantha Cristoforetti rientra dallo spazio e racconta in una intervista rilasciata all’Ansa: ”I 400 chilometri che separano la Stazione Spaziale dalla Terra non sono molti, di per sè, ma quando sei lassù la Terra sembra lontanissima. … Da lì in pochi minuti fai il giro del mondo, ti rendi conto di quante storie e di quante vicende umane stanno accadendo là sotto. Allora cominci ad osservare le cose umane con un senso di grande comunanza. Da fuori ti rendi conto che, nonostante tante storie diverse, alla fine la maggior parte dell’esperienza umana è qualcosa di condiviso da tutti. … Si relativizzano i confini e i problemi e la sensazione più forte è quella di vivere tutti la stessa esperienza umana.”

terra dallo spazio1
La poesia incontra ineludibilmente la scienza più avanzata, e l’incontro avviene nella profondità dolorosa delle coscienze lacerate dal peso dell’ingiustizia innaturale e disumana della storia, storia di uomini terreni, di possessi e di proprietà che hanno generato conflitti, genocidi, ed elevato steccati fisici e mentali invalicabili. Ma la terra è figlia del cosmo, nel suo grembo è stata concepita, è nata, è cresciuta come un corpo vivo e indivisibile nelle meraviglie della sua diversità naturale.
La terra dell’uomo, e non quella del cielo, oggi naufraga nei campi profughi mediorientali e africani, tra le dune del Sahara, nelle acque del Mediterraneo, sugli scogli del ponte di San Ludovico di Ventimiglia, sui muri di confine annunciati, nel labirinto insensibile di trattati e regolamenti, sulle frontiere d’oltralpi. Naufraga pavida, atterrita tra le onde primitive dell’odio razziale che detta i dinieghi incivili dei governi dell’Europa, dell’occidente opulento che deve il suo progresso all’indigenza delle regioni del mondo con la pelle scura, uguale a quella dei progenitori della specie umana.

Migrants after a night on the shore of Ventimiglia, on the Italian border with France. Ventimiglia (Italy), June 17th 2015. ANSA/LUCA ZENNARO

Migrants after a night on the shore of Ventimiglia, on the Italian border with France. Ventimiglia (Italy), June 17th 2015. ANSA/LUCA ZENNARO

La terra dell’uomo si allontana da quella del cielo e più si distacca più distrugge se stessa, non sa dare alternative all’irrinunciabile bisogno di libera dignità della persona, all’integrità dell’ambiente, rende preferibile la morte all’impossibilità della vita.
La “Giornata Mondiale del rifugiato” ci ha chiesto di non smettere di pensare che dalla sofferenza nascerà anche la terra di tutti.

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