Il Vescovo Oliva invita all’accoglienza
A Focà, durante l’assemblea del 10 aprile seguita al rifiuto di accogliere all’interno della scuola elementare i migranti sbarcati a Pasqua sulla spiaggia di Caulonia, il Vescovo Oliva aveva annunciato una lettera sul tema dell’immigrazione. Ve la proponiamo.
http://www.diocesilocri.it/vescovo/lettere_download/lettera_emigrati_160415.pdf
Ai reverendi Sacerdoti,
Ai religiosi e alle religiose
Ai Diaconi,
Ai fedeli laici
Stranieri o fratelli?
A pochi giorni dalla Pasqua, quando ancora sono vivi in noi i riti di una settimana santa intensamente partecipata, ci chiediamo: Cosa resta di così grande Mistero? Cosa lascia in noi il Dio che ci ha amati sino alla fine ed ha dato se stesso per noi sulla croce? Cosa vuole da noi il Signore che ci viene incontro nei fratelli “più piccoli”, poveri, malati, migranti o profughi? Riusciamo a vederlo nei volti smarriti di ragazzini e giovani, che hanno impressi nei loro occhi la via dolorosa della fuga nel deserto, il terrore della traversata del Mediterraneo, la solitudine profonda di povere vite, il bisogno inespresso di speranza? Queste domande ci poniamo in un momento, in cui sono sempre più numerosi gli sbarchi di profughi e migranti, provenienti da aree geografiche martoriate dalla guerra, dalla violenza, dalle persecuzione e dall’estrema miseria. A noi è richiesto di dare loro una mano, non una fredda accoglienza. In una Calabria, già piegata da mille problemi, l’accoglienza è la grande sfida del nostro tempo!
Siamo la Locride, il Sud del sud, terra di periferia, bella e amata da Dio, ma afflitta da tanti problemi. La Locride! Anch’essa da tempo terra di emigrazione. Molti sono stati costretti ad andare via in cerca di lavoro. Non sono più tornati, se non per brevi periodi di ferie. Tanti sono i giovani che si allontanano direzione Nord. Anch’essi in cerca di lavoro ed affermazione, lasciando casa e famiglia, senza certezza del domani, senza sapere se e quando potranno ritornare. Ma in tale difficile realtà non ci sentiamo affatto rassegnati.
Siamo la Locride, terra d’immigrazione. Papa Francesco ricorda che “In fuga da situazioni di miseria o di persecuzione verso migliori prospettive o per avere salva la vita, milioni di persone intraprendono il viaggio migratorio e, mentre sperano di trovare compimento alle attese, incontrano spesso diffidenza, chiusura ed esclusione e sono colpiti da altre sventure, spesso anche più gravi e che feriscono la loro dignità umana”. Sappiamo che gli immigrati che approdano sulle nostre coste non lo fanno per restare. Sono solo di passaggio. Non disprezziamo il loro grido di disperazione e disagio, anche per le lunghe attese di un permesso di soggiorno. Tante sono le difficoltà da superare: le strutture di accoglienza, che pur ci sono, non sono sempre adeguate e mancano le risorse per renderle adeguate. Molte associazioni di volontariato, che rispondono ai bisogni del momento, lamentano ritardi da parte delle pubbliche istituzioni e non riescono a sopportare i costi di gestione. Le conseguenze di tali ritardi sono gravi e possono mettere in crisi l’intero sistema di accoglienza.
Pur nella scarsità di mezzi e risorse, come Chiesa cerchiamo di fare la nostra parte nell’opera di accoglienza, di mettere a disposizione le poche strutture che abbiamo, anche se mancano i mezzi economici, per renderle idonee. E’ un piccolo segno di partecipazione in risposta alla Parola del Signore: “Quando un forestiero abiterà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. I1 forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Lv 19, 33-34; cfr. Dt 16, 11-12; 24, 22).
“Non dimenticate l’ospitalità”!
Sull’esempio di Gesù, l’accoglienza e l’ospitalità diventa un canone importante per la nostra vita cristiana. Sin dalle origini della comunità cristiana, l’ospitalità era ritenuta un’indicazione importante per una vita cristiana credibile: “Siate premurosi nell’ospitalità” (Rm 12, 13); “Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri” (1Pt 4, 9); “Non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo” (Eb 13, 2). Un cristiano straniero, che arrivava presso una comunità, era sicuro di trovare fraterna accoglienza. Non aveva che presentarsi ai fratelli della comunità, che lo ricevevano con gioia. L’accoglienza era quasi una confessione di fede della Chiesa, che non vedeva l’appartenenza ad una patria come separazione, perché riconosceva gli uomini in cammino “alla ricerca di una patria … quella celeste” (Eb 11, 14-16). I cristiani si ritenevano “stranieri e pellegrini sulla terra” (Eb 1 1, 13; 1 Pt 2, 1 l), consapevoli della provvisorietà della condizione umana.
Avendo avanti agli occhi le difficoltà delle nostre comunità di fronte al vasto fenomeno immigratorio, desideriamo chiedere scusa al fratello immigrato o profugo se non riusciamo a dargli l’accoglienza che merita. In lui e in loro intravediamo i segni della passione del Signore. Quei sogni, che vediamo nei volti emaciati, sfiancati di fatica, malnutriti e malvestiti, che approdano sulle nostre coste, occhi che hanno conosciuto la guerra, la fame, la violenza, che aspirano alla giustizia e alla dignità. Le nostre comunità sono chiamate ad un supplemento di amore, in modo da
farsi “casa che accoglie”, aperte all’ospitalità.
Chiediamo scusa per tutte le volte, che, nella disperazione, ci siamo lasciati prendere da forme di esasperato individualismo e di egoismo. Mentre il fratello ci chiedeva asilo e attenzione, abbiamo rinserrato “i cancelli” del nostro cuore. Nonostante i nostri errori, limiti e fragilità, rinnoviamo pubblicamente la nostra fede nella Parola del Signore: “Ero forestiero e mi avete ospitato, povero e malato e mi avete assistito”. E’ parte della nostra Tradizione di fede. Non vogliamo rinnegarla. Neppure vogliamo lasciamoci rubare la vocazione ospitale. Rinneghiamo ogni tentazione razzista, per restare fermamente dalla parte di Gesù, che è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli. Attraverso di loro il Signore ci chiama a condividere “i cinque pani e due pesci”, pronti anche a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere. Non c’è in noi alcuna paura dello straniero. Grande invece è il desiderio di incontro e la voglia di abbattere ogni barriera e pregiudizio: gli immigrati, per noi non sono un pericolo, ma figli dello stesso Padre. Come noi. La loro presenza accresce il desiderio di conoscenza ed apertura. Né ci toglie il coraggio di coniugare i principi dell’accoglienza, della legalità, del rispetto dei diritti umani, dell’integrazione. Sappiamo di incontrare “bambini, donne e uomini, che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più” (papa Francesco).
La nostra terra, povera, ma abitata da gente semplice e di grande dignità, si ribella di fronte ad ogni forma di xenofobia, di sospetto e pregiudizio verso lo straniero. Non crediamo che gli immigrati possano essere fautori di sconvolgimenti nella sicurezza sociale: che ci facciano perdere identità e cultura, che possano alimentare concorrenza sul mercato del lavoro o, addirittura, introdurre nuovi fattori di criminalità. Con papa Francesco siamo disposti a promuovere “la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare”. Accogliamo l’invito a passare “da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” – ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore”.
Le nostre parrocchie siano uno spazio aperto, luoghi di dialogo, di integrazione nella varietà delle sensibilità umane, spazi di dialogo e di incontro, ove ci si educa a dialogare, a rispettarsi e ad elaborare proposte di inclusione sociale. Sappiamo che non è facile rispondere ad una sfida così grande qual è l’accoglienza di tanti immigrati. E’ lungo il cammino da compiere. La sfida da cogliere è quella di sensibilizzare le comunità a questo importante “segno dei tempi”. E’ una sfida culturale! Ma non possiamo arrenderci di fronte alla tentazione dell’indifferenza, del perbenismo, del fastidio, del rifiuto pregiudiziale. Né tanto meno disinteressarci o delegare ad altri, agli addetti ai lavori un problema, che interessa tutti, nessuno escluso. Ripugna però alla nostra sensibilità civile l’idea che dietro l’immigrazione si possano annidare interessi di gente di malaffare e senza scrupoli o forme diverse di speculazione.
Quanti operano nel settore dell’accoglienza degli immigrati (comuni, associazioni, enti ecclesiastici) sanno di poter contare sulla vicinanza di tutta la comunità civile e religiosa. Da loro accogliamo l’impegno nella formazione ai valori dell’accoglienza e dell’integrazione sociale. La loro generosa attività rende concreta evidenza al passaggio da un impegno “per” gli immigrati a un impegno “con” gli immigrati, mediante una condivisione di vita ed il concreto accompagnamento.
Nella gioia del Signore risorto, che suscita sentimenti di pace, di riconciliazione, apertura del cuore e accoglienza, le nostre Comunità cristiane abbiano il coraggio di offrire ai fratelli immigrati gesti concreti di aiuto e speranza.
Francesco Oliva