Benedizioni a scuola: dal Consiglio di Stato una sentenza inaccettabile

Benedizioni a scuola: dal Consiglio di Stato una sentenza inaccettabile

«È una sentenza dal sapore politico che guarda caso giunge con mesi di ritardo ma giusto alla vigilia di Pasqua. Una sentenza che non condividiamo. E come potrebbe essere altrimenti? La scuola non è un luogo deputato a benedizioni o ad altre attività di tipo religioso, le quali si configurano dunque come indebite ingerenze, che siano in orario scolastico o extrascolastico».

Adele Orioli, responsabile iniziative legali dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar), commenta così la notizia che il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Ministero dell’Istruzione ribaltando la decisione del Tar Emilia-Romagna che lo scorso anno aveva vietato le benedizioni pasquali nelle scuole dell’Istituto comprensivo 20 di Bologna. Per il Consiglio di Stato le benedizioni a scuola, se fuori dall’orario di lezione e se facoltative, sono legittime.

«È una vicenda assurda», prosegue Orioli: «Le benedizioni peraltro si sono svolte da tempo. La vicenda risale infatti al 2015, quando nella scuola della preside Daniela Turci (ex consigliera comunale Pd a Bologna) e del presidente del Consiglio d’istituto Giovanni Prodi (nipote di Romano), era stata disposta la concessione di un locale scolastico, ai parroci che ne avevano fatto specifica richiesta (Parrocchia SS. Trinità, S. Giuliano e S. Maria della Misericordia), “per l’espletamento di attività di benedizione pasquale senza fini di lucro nelle giornate riportate in apposita convenzione”. Contro tale decisione – ricostruisce Orioli – 18 genitori e insegnanti dell’Istituto Comprensivo 20 e il Comitato Bolognese Scuola e Costituzione, sostenuti anche economicamente dall’Uaar, avevano presentato ricorso al Tar il quale, con sentenza 166/2016, aveva dato ragione ai sostenitori della laicità della scuola, rilevando che “non v’è spazio per riti religiosi” come le benedizioni e ricordando che, anche in orario extrascolastico, si possono ospitare solo “attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile”».

«Il Ministero, all’origine del ricorso, invece di pensare ai tanti problemi che affliggono la scuola, impiega il proprio tempo e le proprie risorse presentando ricorsi come quello in questione, difendendo gli interessi della Curia e della politica clericale. Difficile sostenere che quella pubblica sia la scuola di tutti quando si organizzano attività riservate solo ad alcuni. È una brutta aria quella che tira», conclude Orioli.

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