Riflessione da Caulonia: emigrazione, uguaglianza e stazioni ferroviarie

Riflessione da Caulonia: emigrazione, uguaglianza e stazioni ferroviarie

Qualche giorno fa ho accompagnato un amico a prendere il treno, in stazione.
È un luogo particolare, la stazione del treno.
Crocevia di una moltitudine di storie diverse, rese simili dalla necessità di partire: partire per voltare pagina, per dare senso al viaggio della vita, per resistere, per raggiungere qualcosa o qualcuno, per trovare se stessi.
Andare, per necessità o per scelta.
Lasciare, per inseguire il nuovo, l’ignoto.
Le stazioni risvegliano quei sentimenti ancestrali ed esclusivamente umani che solo le attese e gli “arrivederci” sono capaci di far riemergere dal torpore della quotidianità.
All’interno delle stazioni gli uomini sono davvero tutti uguali, accomunati da stati d’animo senza tempo e senza categorie sociali: speranza e rassegnazione, voglia di riabbracciare ed obbligo di salutare.


Euforia e nostalgia si alternano freneticamente, in un convulso viavai di indistinte individualità.
Per forza di cose, nella mente dei meridionali le stazioni evocano da sempre sensazioni contrastanti, rappresentando al contempo l’impossibilità di vivere il presente nella propria terra e l’opportunità di inseguire il futuro altrove.
L’eterna condanna alla ricerca e allo spostamento che coinvolge tutti i sud del mondo, metaforicamente intesi.
Antichi sentimenti, nuove emigrazioni.
Che si viaggi su un aereo, su un treno o su un barcone attraverso il mare, non si cerca altro che un avvenire migliore in cui credere, un’esistenza più dignitosa a cui aggrapparsi.
Chi è costretto a partire non è colpevole, ma vittima: vittima delle disuguaglianze del mondo, del beffardo gioco della storia.
Le stazioni sono una sintesi della natura umana, con le sue contraddizioni e le sue fragilità.
È un luogo particolare, la stazione del treno.

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