L’ altra Caulonia che vive in Australia

L’ altra Caulonia che vive in Australia

(Adelaide casa di cura - foto di Roy Fazzalari -)

(Adelaide casa di cura – foto di Roy Fazzalari -)

Non ha la rupe con le cigliate da cui affacciarsi sugli orizzonti circolari dal mare alla montagna, né le frazioni e le contrade contornate dalle fragranze degli orti gracidanti, umidi e ombrosi, dalle ginestre e dai fichidindia, e neppure le fiumare con i fondovalli inondati dal profumo della candida zagara la Caulonia dispersa e unita che vive nelle città e nelle terre del Sud Australia. Mettendo insieme i discendenti delle prime generazioni che partirono dal nostro comune, otteniamo una popolazione superiore a quella che attualmente da noi risulta residente. Si stimavano nel 2008 più di 8.000 i “caulo-australiani”, e viceversa. Due Caulonie che si equivalgono nel patrimonio culturale e delle tradizioni, nella memoria capace di vincere le distanze dei continenti e degli oceani.

Quattro furono i primi pionieri che partirono dalle aspre e impervie colline di Strano-Cufò per sbarcare a Melbourne il 26 dicembre del 1922, dopo un lungo viaggio tra le insidie delle montagne d’acqua del “mare oceano”. Da loro ebbe origine un flusso che dall’ante-dopoguerra coinvolse circa 1.600 migranti. Ricordo come un sogno le partenze dal paese negli anni ’50 e ’60. Nelle case di chi partiva vi era un via vai di parenti e amici: andavano per salutare, ed era come se si tenesse il lutto, come fosse l’ultimo abbraccio, l’ultimo bacio. L’emigrazione fu la peste straziante che segnò ogni famiglia, e la distanza era ritenuta enorme, incolmabile, pericolosa, senza ritorno.

All’inizio le condizioni abitative e di lavoro nell’altro mondo furono anche peggiori di quelle già vissute nella terra natia. La differenza la faceva la realizzazione remunerativa di quegli immani sacrifici. Qui, la fatica dall’alba al tramonto sfociava sempre nella miseria e nelle difficoltà crescenti fino all’insopportabilità. Lì, ogni sforzo corrispondeva ad un graduale progresso toccato con mani instancabili e callose. E il contributo dei cauloniesi fu forte per lo sviluppo delle terre su cui camminarono e inseminarono con il loro sudore. Costruirono il proprio benessere e quello del paese più grande dell’Oceania in cui vivono da perfetti cittadini australiani, integrati e stimati per la loro laboriosità e intraprendenza. Partirono da contadini, braccianti e manovali, spesso analfabeti, e si ritrovano figli e nipoti ben acculturati, ben collocati nella scala sociale.

(foto di Roy Fazzalari)

(foto di Roy Fazzalari)

Il collante che unì i cauloniesi resasi numerosi nel Sud Australia, fu l’introduzione in Adelaide della festa del patrono Sant’Ilario nel 1955. Culminava anni generosi di incontri conviviali, di iniziative sociali e solidali. E alla festa seguì la costituzione della Society of Saint Hilarion Inc nel 1969, uno strumento legale, riconosciuto che diede un forte contributo per l’istituzione di quattro case di cura per anziani volte a tutti gli australiani. Le storie delle due Caulonie si intrecciano e si condensano in una ricerca interessante, ricca di dati, di memorie e di sentimenti, scritta in un volume pubblicato nel 2008: Caulonia in the heart.

Nella settimana appena trascorsa nella Caulonia di Adelaide è stata festa grande; si commemorava il 60° delle celebrazioni del patrono. Abbiamo visto le immagini divulgate in rete da Roy Fazzalari e i video di Tony Bombardieri. Testimonianze di forte aggregazione e partecipazione ai momenti religiosi e ludici. Negli stessi giorni nella Caulonia calabrese si commemorava il bicentenario della statua del patrono. Peccato che non ci sia stato un collegamento in diretta tra le due realtà, sfruttando i potenti mezzi che internet mette a disposizione.

Non possiamo e non dobbiamo procedere su linee parallele prolungate all’infinito. Bisogna ricostruire quel ponte che nel passato ha realizzato degli incontri e degli scambi proficui. Il piccolo ostello costruito nella Casa della Pace (in fase di ultimazione) e il paese albergo (in costruzione) possono offrire ospitalità e opportunità per un ritorno di breve periodo a chi volesse rivedere il paese natio, oppure visitare il luogo da cui provengono le proprie radici, identiche a quelle genitoriali. Dobbiamo uscire dall’isolamento e dal torpore del piangersi addosso. Il piccolo è bello ed ha valore se sa mostrarsi, collegarsi con il mondo e con le nostre identità sparse nel mondo.

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